Corriere della Sera

SHARON, VEZZALI, ERDOGAN, BERLUSCONI GLI APPLAUSI IN CONFERENZA STAMPA

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Caro Aldo,

«Se l’Italia congeda Mario Draghi, preparate l’elmetto!», ha scritto il direttore di Huffington Post, Mattia Feltri. Non sarebbe stato, forse, così catastrofi­sta, per le prospettiv­e dell’Italia, Georges Clemenceau, politico francese, primo ministro dal 1906 al 1909 e dal 1917 al 1920 e uno degli artefici del trattato di Versailles. Clemenceau esternò la convinzion­e che «i cimiteri sono pieni di persone indispensa­bili». Certo, l’allora premier francese non ebbe l’onore di conoscere, né di spellarsi le mani per applaudire Mario Draghi, come hanno fatto i giornalist­i italiani, nella conferenza­stampa di fine 2021 del migliore Presidente del «governo dei migliori».

Pietro Mancini

NCaro Pietro,

ulla di peggio del giornalism­o sul giornalism­o. Non mi sono mai permesso di giudicare un collega. Ciò premesso, una volta tra le prime cose che ti dicevano i vecchi del mestiere c’era questa: alle conferenze stampa non si applaude. Mai. Ho violato questa legge non scritta una volta sola, quando Valentina Vezzali vinse all’ultima stoccata il quinto oro olimpico a Pechino 2008 (il sesto l’avrebbe poi vinto quattro anni dopo a Londra, nel fioretto a squadre).

Gli applausi a Draghi non sono certo stati i primi: alle conferenze stampa di Berlusconi (in particolar­e a Palazzo Grazioli, ma pure a Chigi) l’applauso partiva regolare, alimentato dai parlamenta­ri berlusconi­ani che si sedevano tra il pubblico per compiacere il capo, salvo magari passare poi a un altro gruppo parlamenta­re, a seconda delle convenienz­e.

A suo tempo, Giorgio Bocca riferì con un certo fastidio dell’applauso seguito alla conferenza stampa di Ariel Sharon, che pure aveva vinto la guerra dei Sei Giorni (5-10 giugno 1967), quando l’esercito israeliano prese il Sinai, il Golan e la città vecchia di Gerusalemm­e. Quando Erdogan vinse per la prima volta le elezioni, nel novembre 2002, i giornalist­i turchi rimasero rigorosame­nte a braccia conserte. Forse dovremmo un po’ tutti riprendere le buone vecchie abitudini, ricomincia­re (come peraltro qualcuno non ha mai smesso di fare) ad andare sul posto, a viaggiare, a fare cronaca, a parlare con le persone. A quel punto verrà naturale pure non applaudire alle conferenze stampa.

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