Aids, quel bacio rivoluzionario
Mercoledì saranno trent’anni. Il 1° dicembre del 1991 alla Fiera Campionaria di Cagliari l’immunologo Fernando Aiuti (scomparso nel 2019) baciò sulla bocca Rosaria Iardino, 25enne sieropositiva. Il giorno dopo, il Corriere della Sera pubblicò la foto in prima pagina. Quel bacio fu un atto rivoluzionario, ma necessario, per cominciare a scardinare lo stigma sociale sui malati, il famoso alone viola con il quale ancora adesso vengono squalificate le persone omosessuali (il deputato del Pd Alessandro Zan ha appena denunciato l’eurodeputata leghista Silvia Sardone per aver condiviso sui social una sua immagine con il famigerato «marchio» colorato, dopo l’affossamento del ddl contro l’omotransfobia). Oggi sono cambiate tante cose. L’Aids non è più la «malattia dei gay e dei tossicodipendenti» e non rappresenta più una condanna a morte. Lo racconta il documentario del trentenne Alessandro Redaelli, che in Positiv - 40 anni di Hiv in Italia (da dopodomani disponibile su nexoplus.it per cinque giorni, giornata mondiale contro l’Aids) ha posato lo sguardo sulla sua generazione, mostrandoci la vita in città diverse di quattro sieropositivi: un papà e una mamma eterosessuali, una ragazza transgender e un omosessuale. Sono tutti pazienti U=U: Undetectable=Untrasmittable. Significa che la carica virale non è rilevabile, dunque non trasmissibile. I protagonisti sono giovani che grazie ai farmaci di ultima generazione (a uno viene proposto di sostituire le pillole quotidiane con una iniezione mensile) non rischiano di contagiare il proprio partner (l’unica «limitazione» che la madre del gruppo ammette è di non aver potuto allattare la figlia, concepita e partorita in modo naturale). Rosaria Iardino, che nel lungometraggio è chiamata assieme ad altri volti noti a testimoniare quello che è successo nei quarant’anni dalla scoperta dell’Hiv, a un certo punto ricorda di quando si celebravano 3 funerali alla settimana di vittime dell’Aids. E fa un po’ impressione ripensando al picco dei morti che abbiamo visto nei primi mesi della pandemia da coronavirus, quando davvero un bacio era il principale veicolo di contagio. La scienza, e i comportamenti individuali responsabili, hanno permesso di ridimensionare l’Hiv. E questa resta la strada per ogni virus.