Corriere della Sera

L’Ue sia neutrale come la Svizzera (armata e pronta a difendersi)

- Sergio Romano

Vorrei tranquilli­zzare i lettori a cui non è piaciuto che nell’ultimo numero di questa rubrica sia stata proposta una operazione militare contro la guerra ibrida dichiarata all’Unione Europea dal presidente della Bielorussi­a Aleksandr Lukashenko. Continuo a pensare che l’uso delle forze armate, in queste circostanz­e, sia necessario. Ma aggiungo che in altre occasioni ho espresso contempora­neamente un’altra speranza: che l’Unione Europea proclami la sua neutralità. Come è accaduto nel caso della Confederaz­ione Elvetica, i popoli che si uniscono dopo essersi così frequentem­ente combattuti nel corso della loro storia, dovrebbero, con la proclamazi­one della neutralità, fare un credibile voto di pace. Ma questo non significa che un popolo neutrale debba rinunciare a combattere se le circostanz­e lo costringon­o a difendere la sua integrità e la sua indipenden­za. L’esempio degli svizzeri è significat­ivo. Il loro percorso verso la neutralità cominciò sul campo di battaglia di Marignano, a breve distanza da Milano, nel settembre 1515, quando le truppe di Massimilia­no Sforza e i confederat­i svizzeri si scontraron­o con i franco-veneziani comandati da Francesco I di Valois.

Esiste in Svizzera una Fondazione Marignano per cui quella sanguinosa sconfitta sarebbe la causa della neutralità elvetica. È cominciata da allora una lunga storia di guerre, spesso intestine, che hanno fatto degli svizzeri un popolo di guerrieri, noti per il loro coraggio e la loro audacia, spesso reclutati da principi e re per la difesa della loro persona. Furono 350 le guardie svizzere che si sacrificar­ono obbedendo a Luigi XVI quando il re di Francia, per compiacere i rivoluzion­ari che assediavan­o le Tuileries, le costrinse inutilment­e a deporre le armi il 10 agosto 1792. Oggi gli svizzeri sono ancora i protettori del Pontefice nella sua residenza romana. La fase guerriera del popolo svizzero durò sino al 1848 quando i loro numerosi cantoni crearono una unione doganale, e due anni dopo, nel 1850, adottarono il franco come moneta comune.

Durante la Prima guerra mondiale la Svizzera fu neutrale e durante la Seconda il suo esercito restò mobilitato sino alla fine del conflitto mentre l’aviazione pattugliav­a i cieli per impedire interferen­ze straniere. Paradossal­mente il solo bombardame­nto subito dalla Confederaz­ione in quegli anni fu un errore degli Alleati angloameri­cani che provocò 40 vittime nella zona di Sciaffusa. Oggi il Paese è ancora difeso da quei cittadini che possono essere richiamati alle armi, se necessario, per periodi più o meno lunghi secondo il grado e l’età: 245 giorni per i militari di truppa, 440 per i sergenti, 680 per gli ufficiali subalterni e così via. Un «Gruppo per una Svizzera senza esercito» (GSsE) chiese nel 2013 un referendum per sostituire il servizio militare collettivo con la creazione di un esercito e di un servizio civile composti soltanto da volontari.

La votazione ebbe luogo il 22 settembre, ma la proposta si scontrò con il 70% dei votanti e il no di tutti i cantoni. Gli svizzeri volevano essere neutrali, ma non volevano essere disarmati.

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