L’Ue sia neutrale come la Svizzera (armata e pronta a difendersi)
Vorrei tranquillizzare i lettori a cui non è piaciuto che nell’ultimo numero di questa rubrica sia stata proposta una operazione militare contro la guerra ibrida dichiarata all’Unione Europea dal presidente della Bielorussia Aleksandr Lukashenko. Continuo a pensare che l’uso delle forze armate, in queste circostanze, sia necessario. Ma aggiungo che in altre occasioni ho espresso contemporaneamente un’altra speranza: che l’Unione Europea proclami la sua neutralità. Come è accaduto nel caso della Confederazione Elvetica, i popoli che si uniscono dopo essersi così frequentemente combattuti nel corso della loro storia, dovrebbero, con la proclamazione della neutralità, fare un credibile voto di pace. Ma questo non significa che un popolo neutrale debba rinunciare a combattere se le circostanze lo costringono a difendere la sua integrità e la sua indipendenza. L’esempio degli svizzeri è significativo. Il loro percorso verso la neutralità cominciò sul campo di battaglia di Marignano, a breve distanza da Milano, nel settembre 1515, quando le truppe di Massimiliano Sforza e i confederati svizzeri si scontrarono con i franco-veneziani comandati da Francesco I di Valois.
Esiste in Svizzera una Fondazione Marignano per cui quella sanguinosa sconfitta sarebbe la causa della neutralità elvetica. È cominciata da allora una lunga storia di guerre, spesso intestine, che hanno fatto degli svizzeri un popolo di guerrieri, noti per il loro coraggio e la loro audacia, spesso reclutati da principi e re per la difesa della loro persona. Furono 350 le guardie svizzere che si sacrificarono obbedendo a Luigi XVI quando il re di Francia, per compiacere i rivoluzionari che assediavano le Tuileries, le costrinse inutilmente a deporre le armi il 10 agosto 1792. Oggi gli svizzeri sono ancora i protettori del Pontefice nella sua residenza romana. La fase guerriera del popolo svizzero durò sino al 1848 quando i loro numerosi cantoni crearono una unione doganale, e due anni dopo, nel 1850, adottarono il franco come moneta comune.
Durante la Prima guerra mondiale la Svizzera fu neutrale e durante la Seconda il suo esercito restò mobilitato sino alla fine del conflitto mentre l’aviazione pattugliava i cieli per impedire interferenze straniere. Paradossalmente il solo bombardamento subito dalla Confederazione in quegli anni fu un errore degli Alleati angloamericani che provocò 40 vittime nella zona di Sciaffusa. Oggi il Paese è ancora difeso da quei cittadini che possono essere richiamati alle armi, se necessario, per periodi più o meno lunghi secondo il grado e l’età: 245 giorni per i militari di truppa, 440 per i sergenti, 680 per gli ufficiali subalterni e così via. Un «Gruppo per una Svizzera senza esercito» (GSsE) chiese nel 2013 un referendum per sostituire il servizio militare collettivo con la creazione di un esercito e di un servizio civile composti soltanto da volontari.
La votazione ebbe luogo il 22 settembre, ma la proposta si scontrò con il 70% dei votanti e il no di tutti i cantoni. Gli svizzeri volevano essere neutrali, ma non volevano essere disarmati.