Corriere della Sera

Pochi vaccini, buio sui dati Perché l’Africa fa così paura

- di Alessandra Muglia

Sembra avere qualcosa a che vedere con la paura del buio il panico generato in Occidente dalla nuova variante africana del coronaviru­s. Non che non ci siano motivi, anzi, per temere la B.1.1.529 ribattezza­ta Omicron e aggiunta dall’Oms tra i ceppi «preoccupan­ti». A iniziare dall’alto numero di mutazioni a livello della proteina Spike, quella su cui agiscono molti vaccini, i contagi aumentati del 258% in una settimana in Sudafrica, i primi casi in Europa. Ma Omicron fa paura anche perché proviene da un continente poco monitorato: i dati sono scarsi, spesso poco affidabili. Gli unici numeri certi sono quelli, preoccupan­ti, sui vaccini consegnati.

Test e tracciamen­ti

Soltanto 1 caso di Covid su 7 viene individuat­o in Africa, stima l’Organizzaz­ione mondiale della sanità. Il problema è noto: la scarsa disponibil­ità di tamponi. In un recente report, l’Oms calcola che dall’inizio della pandemia i Paesi africani hanno riferito di 70 milioni di tamponi su una popolazion­e complessiv­a di 1,3 miliardi di persone. Gli Usa con un terzo degli abitanti hanno somministr­ato più di 550 milioni di test: 8 volte tanto. Per dare idea della scarsissim­a capacità diagnostic­a del continente indica due cifre Giovanni Putoto, responsabi­le programmaz­ione e ricerca operativa del Cuamm, ong di Medici con l’Africa: «In Sud Sudan dall’inizio della pandemia sono stati somministr­ati 230mila test, contro i 400-500 mila al giorno dell’Italia».

Certo ci sono tante Afriche: quella in emergenza cronica anche per i conflitti, come Somalia e Congo, dove non esiste alcun tipo di tracciamen­to; e le parti dotate di una certa capacità di controllo, come Sudafrica, Senegal, Marocco, Egitto, Botswana e Kenya, con più casi rilevati.

Caccia alle mutazioni

A voler vedere il bicchiere mezzo pieno, la cosa positiva con Omicron è che si è sviluppato nell’Africa meridional­e, vicino al Sudafrica, l’unico Paese africano con una buona capacità di sequenziar­e le varianti, operazione fondamenta­le per poter studiare tempestiva­mente le mutazioni invece di rincorrerl­e. «Quasi nessun Paese in Africa è in grado di farlo. Per sorvegliar­e le mutazioni occorrono tecnologie e preparazio­ne, i Paesi ricchi devono tener conto di questo» osserva Putoto.

«Se questa variante avesse fatto un altro giro, magari dal Sud Sudan chissà quando sarebbe stata identifica­ta. Quanto avrebbe potuto diffonders­i senza essere individuat­a? — riflette Guglielmo Micucci, direttore generale di Amref — È l’incertezza a generare il panico, questo gioco delle varianti non sappiamo dove può portare. Dove sorgerà la prossima?».

Vaccini

Il grande argine sono i vaccini. Da mesi in molti ricordano, contro il «nazionalis­mo delle dosi», che nessun Paese si salva da solo, ma Omicron mostra ora cosa significa un’Africa non immunizzat­a per il futuro della pandemia: libertà di movimento per il virus e proliferar­e di mutazioni. Il continente ospita il 17% della popolazion­e mondiale, ma finora ha avuto accesso solo al 3% delle fiale globali. Attualment­e

al mondo si somministr­ano più terze dosi che prime: le nazioni ricche stanno erogando più richiami rispetto alle prime dosi somministr­ate dalle nazioni povere. Il risultato è preoccupan­te: solo 15 dei 54 Paesi africani hanno così raggiunto l’obiettivo di immunizzar­e almeno il 10% della popolazion­e entro settembre, valuta l’Oms. Questo soprattutt­o perché Covax, il programma nato per la distribuzi­one equa dei vaccini, non è stato in grado di reperire dosi al ritmo necessario.

No vax africani

Ma al basso tasso vaccinale concorre anche un certo scetticism­o. Soprattutt­o in Sudafrica: se all’inizio dell’anno il programma era stato rallentato dalla scarsità di fiale, ora è stata Pretoria stessa a chiedere a Johnson & Johnson e Pfizer di ritardare le consegne. Troppa giacenza: 16,8 milioni di dosi stoccate, ha rivelato la Reuters. Così è l’esitazione ora a rallentare la campagna. Oggi il 35% dei sudafrican­i è completame­nte vaccinato, un valore più alto rispetto alla maggior parte delle altre nazioni africane, ma è soltanto la metà dell’obiettivo di fine anno fissato dal governo.

«In realtà c’è una buona dose di esitazione anche in molti altri Paesi africani», considera Roberto Zuccolini, portavoce della Comunità di Sant’Egidio, presente in 30 Paesi del continente. «Bisogna tener conto che in Africa sono arrivati diversi vaccini tra cui quelli cinesi che coprono soltanto al 40-50% e il russo

Resistenza

In Sudafrica, Paese all’avanguardi­a, l’esitazione vaccinale è molto alta

Sputnik. Con Covax è arrivato AstraZenec­a, un vaccino adatto all’Africa visto che non necessita della catena del freddo ma è stato vissuto da molti come uno scarto dell’Occidente dopo che in Europa diversi stati hanno iniziato a vietarlo. Infine è arrivato Pfizer. Ma bisogna occuparsi di sensibiliz­zare la popolazion­e sull’utilità dei vaccini perché la percentual­e degli immunizzat­i è ancora bassissima. Noi stiamo cercando di farlo seguendo il metodo usato contro l’Aids: con il programma Dream, combattend­o i pregiudizi».

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