Cosa può fare lo Stato oggi Le idee e il ricordo di Alesina
Il ricordo dell’economista e studioso scomparso un anno fa
Caro direttore, gli aratri e il ruolo delle donne nella società sembrano argomenti scollegati. In realtà uno dei lavori di Alberto Alesina (nella foto) — il grande economista, e nostro grande amico, mio e del Corriere, morto un anno fa oggi — ci insegna come le due cose siano collegate, anzi come l’una, il ruolo delle donne, abbia le sue radici nell’altra, il tipo di aratri che usavano i nostri antenati.
Donne e aratri. Per inciso, la scoperta di legami sorprendenti fra due fatti all’apparenza lontani, è stata una caratteristica ricorrente della ricerca di Alberto.
In un articolo con Paola Giuliano e Nathan Nunn, Alberto mostrò come in società che nell’antichità preparavano i terreni per le coltivazioni usando prevalentemente l’aratro, invece della zappa, si sono sviluppate nei secoli norme sociali che hanno finito per confinare le donne a ruoli marginali. Questo perché a seconda del tipo di prodotto coltivato, o del tipo di terreno — più o meno in pendenza, o più o meno roccioso — alcune società usavano soprattutto l’aratro, mentre altre usavano per lo più la zappa. E poiché l’aratro richiede più forza fisica, nel tempo questo determinò la partecipazione femminile al lavoro, che era più elevata là dove si usava meno l’aratro e più la zappa. Nelle società dominate dall’aratro il ruolo della donna era confinato in casa, mentre in quelle dove si usava la zappa le donne lavoravano tanto quanto gli uomini. Attraverso analisi quantitative, Alberto e i suoi coautori mostrano che queste differenze storiche nella «tecnologia» — eventi casuali perché dipendono dal luogo dove una donna nasceva — si rispecchiano ancor oggi in profonde differenze nelle percezioni sociali sulla parità di genere e sul ruolo delle donne.
Questi studi sottolineano come alcuni fenomeni sociali dipendono da condizioni iniziali, spesso casuali che nel tempo tendono ad autoalimentarsi. Poter mutare le «condizioni iniziali», una cosa evidentemente impossibile, potrebbe cambiare la cultura di una società. E tuttavia, alcuni eventi possono talora influire sulle condizioni iniziali e quindi modificare, se non la cultura di una società, alcune sue norme. Il più delle volte simili eventi sono fuori dal nostro controllo: ad esempio catastrofi naturali, ma anche guerre. In alcuni casi però l’azione degli Stati può produrre cambiamenti nelle norme.
In questo senso gli avvenimenti straordinari che abbiamo vissuto negli ultimi due anni — la pandemia e soprattutto la risposta degli Stati alla crisi pandemica — potrebbero aver l’effetto di sradicare antiche norme sociali, e far posto a regole nuove, che in futuro potrebbero autoalimentarsi. Un esempio è la risposta degli Stati europei, almeno dell’Italia, attraverso i Piani nazionali di ripresa e resilienza (Pnrr). Alcune riforme contenute in questi piani possono ad esempio spostare la nostra società da un equilibrio «cattivo», fatto di divari di genere e norme sociali avverse alle donne, ad uno «migliore», dove un’alta partecipazione femminile al mercato del lavoro e una nuova cultura si rinforzano a vicenda.
In un lavoro con Andrea Ichino, Alberto propose di tassare il lavoro delle donne meno di quello degli uomini. In molte famiglie la maggior parte delle responsabilità domestiche cade sulla donna, con il risultato che fuori di casa le donne lavorano molto meno degli uomini (nel 2019 il tasso di occupazione delle donne raggiungeva il 75,4 per cento in Svezia, il 72,8 per cento in Germania, il 72 per cento in Danimarca e appena il 50,1 per cento in Italia, dove è sceso addirittura al 48,5 per cento nel 2020, per effetto della pandemia). Un’allocazione sbilanciata che rafforza stereotipi e in cui norme sociali che accentuano la forbice salariale uomo-donna si autoalimentano. Offrire alle donne una tassazione più bassa (oltre ad altri servizi, in primis gli asili nido) sarebbe un cambiamento delle «condizioni iniziali» che potrebbe spostare l’equilibrio culturale verso una divisione più bilanciata dei compiti domestici, con l’effetto di migliorare non necessariamente la condizione delle donne, ma almeno le loro opportunità.
Quello appena illustrato è un esempio di come piccoli cambiamenti nelle regole — una lieve preferenza nella tassazione del lavoro femminile, accompagnata da una maggiore offerta di servizi all’infanzia — potrebbero costituire un punto di svolta, e determinare grandi cambiamenti sociali. Il Pnrr italiano va in questa direzione stanziando per gli asili nido e le scuole per l’infanzia 4,6 miliardi di euro che consentiranno di creare circa 230 mila nuovi posti negli asili nido e nelle scuole per l’infanzia. (152.000 per bambini fino a 3 anni e 76.000 per bambini tra 3 e 6 anni)
In questo e altri temi, le dinamiche europee rivestono un’importanza fondamentale, e Alberto non mancava mai di osservarle con attenzione. Un suo articolo scritto con Guido Tabellini e Francesco Trebbi esamina quanto diverse siano le culture dei Paesi europei, e si chiede se queste differenze possano essere ostacoli ad un’unione «meno imperfetta», per parafrasare la Costituzione americana.
Alberto e i suoi coautori trovano che queste divergenze non sono in realtà così marcate: in media, le differenze che esistono fra un cittadino tedesco e un cittadino greco sono simili a quelle che ci sono fra un cittadino della Florida e uno del Michigan. Questo suggerisce che se gli americani possono condividere un’unione funzionante, questa stessa possibilità non sembra preclusa, sul piano culturale almeno, agli europei. Il vero scoglio ad una maggiore integrazione, secondo gli autori, non sono quindi le differenze culturali pre-esistenti, quanto il rafforzarsi delle identità nazionali (un fenomeno sempre più presente). Gli autori ne traggono la conclusione che è centrale riformare il processo di unione europea, mettendo al centro il concetto di «bene pubblico europeo». Non tante nazioni che, attraverso i loro rappresentanti, lottano per ottenere la fetta più grande di una torta comune; ma tante nazioni impegnate a rendere questa torta il più grande possibile.
È l’obiettivo dei vari Pnrr che stanno per essere adottati. Ma pur essendo il risultato di un passo in avanti storico — per il fatto di essere in parte finanziati con debito comune — evidenziano quanto sempre più stretto sia il vestito dell’Europa e quanto urgenti siano i progressi verso una maggiore integrazione politica. Un’osservazione che solo le corti tedesche sembrano avere il coraggio di fare.
Divario di genere
Una tassazione più bassa del lavoro delle donne migliorerebbe le loro opportunità