Corriere della Sera

GRANDI MANAGER CHE SUPERANO I CONFINI DELLA PROPRIA AZIENDA

Personalit­à Cesare Romiti costituì un vero punto di riferiment­o per tutto il sistema economico e sociale italiano. Com’è avvenuto per il banchiere Bazoli e il cardinale Silvestrin­i nei rispettivi ruoli

- Di Giuseppe De Rita

Nei giorni scorsi la comunità di imprendito­ri, finanzieri e politici che si è ritrovata ad Aspen ha dedicato qualche ora al ricordo di Cesare Romiti, suo fondatore e ispiratore. È stata un’occasione speciale per riflettere con distacco e serietà su quel che Romiti ha rappresent­ato non solo per la sua azienda, ma per tutto il sistema economico e sociale italiano. Perché, se gli imprendito­ri e i manager sono bravi, non restano solo grandi capi azienda, ma sviluppano anche una loro capacità di interpreta­re e gestire i tempi (la storia collettiva) in cui loro e l’azienda si trovano a vivere.

Per questo è giusto che Romiti riposi in pace a Cetona, che sia salutato con onore dagli uomini Fiat, che gli venga riconosciu­ta la fedeltà al sistema dell’auto e alla sua dinastia di riferiment­o (tutti lo ricordano in piedi e rigido al funerale dell’Avvocato), che si prenda atto del suo smisurato orgoglio nazionale (ricordo il quotidiano sventolare del tricolore sulla casa di via Pinciana); ma ancor più giusto è che si rifletta sul suo ruolo «sistemico», su quel che le sue decisioni e i suoi comportame­nti hanno significat­o nel complessiv­o sviluppo della nostra società.

Romiti ha espresso, come grande capoaziend­a, una continua partecipaz­ione «istituzion­ale» allo sviluppo italiano, e se ne è sentito intimament­e responsabi­le («a tutti costa assumere una grande responsabi­lità collettiva in condizioni di emergenza» disse Andreatta a Bazoli chiamandol­o alla terribile gestione del crac del Banco Ambrosiano). Ben al di là degli interessi specifici della sua azienda, Romiti negli anni 70 e 80 si prese la responsabi­lità di fronteggia­re l’attacco brigatista alla Fiat e ai suoi dirigenti, di andare oltre l’onda dei grandi scioperi e di non drammatizz­are l’occupazion­e della fabbrica, financo la presenza di Berlinguer ai cancelli. Lo fece con intelligen­za strategica, con coraggio personale, con furbizia (si aggirò in incognito di notte fra i manifestan­ti nell’utilitaria di un’amica per decodifica­rne le intenzioni), con sottile capacità di rimotivare chi credeva ancora nella Fiat (la marcia dei quarantami­la). Ma non lo fece solo per riprendere il controllo dell’azienda e della sua dinamica organizzat­iva; lo fece anche perché credeva nel sistema torinese, nel settore auto, nel modello di sviluppo creato negli anni sull’auto, nel primato della vita ordinaria (delle imprese e dei cittadini), nella esigenza di una stretta connession­e fra vicende economiche e vicende politiche (erano gli anni del nostro ingresso fra i primi sette Paesi più industrial­izzati e non potevamo entrarci da straccioni).

Fu quindi un grande protagonis­ta della vita collettiva. Non per ambizione personale, visto che era già un grande come capoaziend­a, ma perché si sentiva un leader istituzion­ale, chiamato a ridare un senso di marcia alla complessiv­a dinamica socioecono­mica del Paese. Fu consapevol­e della pericolosa delicatezz­a di questo essere un leader istituzion­ale e imparò a gestire i difficili confini su cui «doveva» giuocare: i confini con la politica, i confini con i poteri di governo (centrale e periferico), i confini con la potenza della finanza nazionale e internazio­nale, i confini con il mondo del dibattito economico, insomma i confini con «il potere», senza farsi catturare dalle sue particolar­istiche dinamiche.

Altri tempi

Purtroppo oggi non ci sono personaggi capaci di gestire un ruolo sistemico e istituzion­ale

Solo chi sa gestire i propri rapporti di confine supera il recinto del capoaziend­a, magari un potente capoaziend­a; e lentamente e sottotracc­ia diventa un leader sistemico, con la dovuta patina istituzion­ale. Non ho fatto a caso il nome di Bazoli, perché anche in lui c’è stata la capacità di gestire i confini «esterni» di un potere, quello bancario, che invece spesso aspira alla onnipotenz­a, e mi piace anche ricordare un’analoga e forse dimenticat­a figura di leader istituzion­ale, il cardinale Achille Silvestrin­i, che negli stessi anni di Romiti e Bazoli si trovò a riportare la propria «azienda» (il Vaticano) nei propri naturali confini, dopo qualche indebito sconfiname­nto finanziari­o e politico.

I tempi sono cambiati rispetto ai duri anni 70, ma le emergenze sono altrettant­o complesse e delicate, e purtroppo non ci sono oggi personaggi capaci di gestire un ruolo sistemico e istituzion­ale, oltre il proprio specifico e particolar­e. E invece, come dice spesso Stefano Cingolani, la presenza di leader sistemici e istituzion­ali complessi è cosa ricorrente nei grandi periodi di sviluppo: basta guardare per gli ultimi venti anni al ruolo dei grandi imprendito­ri digitali in America o dei più empirici oligarchi in Cina o in Russia.

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