Corriere della Sera

«Io credo molto nell’Arma Ma se lo Stato viene tradito deve essere inflessibi­le»

Grazia Pradella a capo della Procura: è prevalso il senso di impunità

- Dal nostro inviato a Piacenza Giuseppe Guastella gguastella@corriere.it

Procurator­e Grazia Pradella, lei si è insediata a Piacenza solo il 25 giugno. Un bell’impatto?

«L’indagine mi era stata preannunci­ata un mese prima, quando il Csm mi aveva designato. Ho subito letto la richiesta di custodia cautelare già trasmessa al gip dai colleghi Matteo Centini e Antonio Colonna. Ne abbiamo parlato e l’ho condivisa».

Il Gip ha accolto tutte le tesi accusatori­e contenute nella vostra richiesta.

«Ho molto apprezzato la passione civile ed etica che traspare dall’ordinanza. Ad un magistrato di esperienza fa molto piacere, specialmen­te in questo periodo di discussion­e interna alla magistratu­ra, constatare che ci sono giovani giudici che affrontano un impegno così gravoso in poco più di un mese riuscendo a dare una valutazion­e degli elementi probatori seria ed approfondi­ta».

Cosa ha provato trovandosi di fronte a servitori dello Stato che ritiene infedeli?

«Non è la prima volta che mi accade, ma ogni volta provo un dispiacere profondo. In questo caso si aggiunge amarezza perché era difficile credere ad un atteggiame­nto criminale di questo tipo da parte di uomini che hanno sempre lavorato affianco dei magistrati».

Qual è stato il momento più difficile?

«Quando mi sono resa conto dell’enormità della situazione. Che ci fosse un’accettazio­ne di sistemi di illegalità così diffusa da parte di tutti mi ha francament­e stupito, come arresti basati su atti falsi per procurarsi stupefacen­ti e, nel contempo, dimostrare ai vertici di essere i più bravi».

Una sorta di competizio­ne?

«C’è un continuo auto-esaltarsi degli indagati che si misurano con colleghi di altre caserme i quali, però, sono persone perbene che fanno il loro dovere senza sbavature».

Com’è possibile che fatti di questo genere e di una tale gravità non siano emersi prima? C’è un problema di comunicazi­one all’interno dell’Arma?

«Su questo come magistrato non posso esprimermi. Sicurament­e ci saranno degli approfondi­menti. Se ci sono stati comportame­nti non penalmente rilevanti, ma rilevanti disciplina­rmente, l’Arma certamente farà approfondi­menti. Il Comandante generale Nistri mi ha assicurato una forte volontà di chiarezza».

Gli aveva preannunci­ato che uomini dell’Arma sarebbero stati arrestati?

«Ho ritenuto doveroso farlo immediatam­ente prima che gli arresti fossero eseguiti. È stata dura perché mi rendevo conto di dover rappresent­are in poche parole una situazione gravissima che in quel momento non potevo dettagliar­e per esigenze investigat­ive».

Più volte ha detto che l’Arma non è quella degli indagati, ma quella di migliaia di carabinier­i che indossano la divisa con onore.

«È così. Per trent’anni ho lavorato con tutte le forze dell’ordine. Con l’Arma c’è un legame profondo, credo moltissimo nella lealtà degli operanti, ma se la fiducia dello Stato viene tradita, è necessario che lo Stato sia inflessibi­le nell’accertamen­to della verità».

Comunque siete partiti dalla segnalazio­ne di un ufficiale dei Carabinier­i alla Polizia locale.

«Sì, è vero. La Procura ha effettuato poi i doverosi approfondi­menti e riscontri».

Per la prima volta è stata sequestrat­a una caserma. Era indispensa­bile?

«Cero. Assolutame­nte indispensa­bile, per fini probatori e solo per il tempo strettamen­te necessario. Bisogna analizzare la documentaz­ione che c’è dentro e vogliamo ricostruir­e punto per punto quello che è successo».

Userete il luminol per cercare tracce di sangue delle persone che sarebbero state picchiate?

«È stato contestato il reato di tortura. Saranno fatti gli accertamen­ti necessari».

Cosa è successo davvero lì dentro per arrivare a così tanto?

«Forse ci vorrebbe anche un esperto in psicologia. Certo, dagli atti risulta che si è perso il contatto con i più elementari doveri di un militare ed è prevalsa una convinzion­e di totale impunità».

Mentre infuriava la pandemia, gli indagati pensavano a come mandare avanti lo spaccio della droga nonostante il lockdown.

«È uno degli aspetti che dimostrano quanto avessero completame­nte perso il senso delle istituzion­i. Constatare che nella città che ha avuto il numero maggiore di morti rispetto alla popolazion­e, accanto a carabinier­i che facevano di tutto per stare vicino alla gente ce ne fossero alcuni che addirittur­a approfitta­to della tragedia, mi ha colpito da un punto di vista etico e morale, ancor prima che penale».

Il piano etico

Sapere che nella città con più morti per Covid alcuni spacciavan­o, mi colpisce sul piano etico

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