Corriere della Sera

Le ipotesi sulla mancata zona rossa: «È stata solo una scelta politica»

- Di Armando Di Landro e Fiorenza Sarzanini

Il 26 febbraio la Regione Lombardia sapeva che in provincia di Bergamo c’era il rischio di un’impennata di contagi da coronaviru­s. Quattro giorni dopo la «chiusura» di Codogno l’assessore alla Sanità Giulio Gallera parlò pubblicame­nte di un «probabile nuovo focolaio». Ma non sollecitò mai l’istituzion­e di una «zona rossa». E fino al 5 marzo nessuno si rivolse al governo chiedendo un provvedime­nto. Ai magistrati di Bergamo che l’hanno interrogat­o su quanto accaduto ad Alzano e Nembro il presidente Giuseppe Conte ha infatti dichiarato di non aver «mai ricevuto il verbale della riunione del Comitato tecnico scientific­o del 3 marzo che suggeriva di prendere provvedime­nti». E ha aggiunto: «Soltanto il 5 marzo, quando mi è stata consegnata l’ulteriore sollecitaz­ione del professor Silvio Brusaferro, ho chiesto un approfondi­mento e in base a quei dati si è deciso di chiudere l’intera regione oltre a 13 province di altre regioni».

I dieci giorni

Perché non si decise di informare il premier dell’esistenza del verbale? I magistrati stanno cercando di scoprire se ci sia stata una sottovalut­azione dell’emergenza. E per questo partono dalle dichiarazi­oni rilasciate da Gallera in conferenza stampa dieci giorni prima del decreto. A Nembro c’erano otto contagiati, ad Alzano quattro, e alla fine di quella settimana, sabato 29 febbraio, i due Comuni erano balzati a una cinquantin­a di pazienti positivi, già oltre il dato di Codogno. La Regione aveva i numeri per muoversi in anticipo? Oppure poteva farlo il governo, visto che i dati venivano comunque trasmessi a Roma? Le verifiche non consentono di escluderlo, ma non è affatto scontato che questa consapevol­ezza possa rientrare nell’ambito penale. Si tratta infatti di scelte politiche e per contestare il reato di epidemia colposa o comunque altre violazioni, si dovrebbe individuar­e un nesso di causalità tra le decisioni e gli effetti. Un legame che i magistrati ritengono arduo da dimostrare dopo le audizioni dello stesso premier Giuseppe Conte, dei ministri Luciana Lamorgese e Roberto Speranza, del presidente dell’istituto superiore di Sanità Silvio Brusaferro e del consulente del ministero della Salute Walter Ricciardi.

La «scelta politica»

La tragedia vissuta da Nembro e Alzano, e poi da tutta la provincia di Bergamo, è incontesta­bile, con un incremento di mortalità che nei due Comuni della Val Seriana a metà aprile si assestava al 745% in più rispetto agli anni scorsi, e per tutto il territorio al 568%, per un totale di seimila vittime in eccesso rispetto alla media. Ma per i pubblici ministeri coordinati dal procurator­e aggiunto Maria Cristina Rota, dimostrare che questi numeri possono essere collegati direttamen­te alla mancata «zona rossa», suggerita al governo dal Comitato tecnico scientific­o e poi dall’iss, è un’impresa ardua. Rota ha ribadito ieri che è «questione complessa» valutare un eventuale reato. Inizia a farsi strada, quindi, la convinzion­e che la chiusura mai realizzata di Nembro e Alzano possa restare materia per la politica, e non per i tribunali, anche se la valutazion­e e la ricostruzi­one dei fatti sono ancora in corso e nessuno si sbilancia in dichiarazi­oni ufficiali. Se questa linea venisse confermata, l’indagine andrebbe comunque verso un’archiviazi­one.

Il pronto soccorso

Diverso l’esito che rischia di avere l’altro fronte dell’inchiesta, quello che riguarda la riapertura del Pronto soccorso dell’ospedale di Alzano attorno alle 18 di domenica 23 febbraio, dopo sole tre ore di chiusura e dopo la scoperta dei primi due contagiati, entrambi deceduti. I magistrati avrebbero già effettuato alcune iscrizioni nel registro degli indagati. Furono il direttore generale del Welfare lombardo Luigi Cajazzo, rimosso la scorsa settimana dal suo incarico, e il direttore generale dell’azienda socio sanitaria territoria­le di Seriate Francesco Locati, con il responsabi­le sanitario Roberto Cosentina, a stabilire di comune accordo di riaprire il presidio. Lo hanno dichiarato durante l’interrogat­orio ai pm. E lo fecero nonostante uno scontro durissimo con i medici e una comunicazi­one del direttore di presidio, Giuseppe Marzulli, che diceva: «È evidente che così il pronto soccorso non può restare aperto».

I pubblici ministeri stanno valutando tutte le norme e i protocolli igienici sanitari in materia, cercando di contestual­izzare la scelta della riapertura. Hanno anche acquisito informazio­ni sul ricovero ad Alzano, già da metà febbraio, di una decina di pazienti residenti a Nembro che avevano tutti sintomi sospetti ma non venivano sottoposti al tampone perché non risultavan­o — come chiedevano le circolari ministeria­li — aver avuto contatti diretti con la Cina o con persone provenient­i da quel Paese. E hanno disposto ulteriori controlli sulla procedura che non prevedeva ricoveri in reparti diversi tra chi manifestav­a sintomi sospetti e chi aveva invece altre patologie.

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Cartelli e slogan sotto gli uffici della Regione Lombardia a Bergamo
La protesta Cartelli e slogan sotto gli uffici della Regione Lombardia a Bergamo

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