Corriere della Sera

«La sfida è capire quali anticorpi ci proteggono e quanto a lungo»

- Di Luigi Ripamonti www.corriere.it (foto Epa) Pierangelo Clerici Roberto Rigoli

U no dei temi su cui stanno convergend­o le maggiori attenzioni a proposito della pandemia di Covid-19 è, ora, quello che verte sugli esami del sangue per la ricerca degli anticorpi contro il virus che la sostiene.

Per capire di che cosa si tratta è utile partire da una distinzion­e: non si parla di esami che sostituisc­ono o si sovrappong­ono all’ormai famoso «tampone». Questo è un test il cui scopo è stabilire se una persona ha il virus «addosso» in quel momento (pur con margini di errore) e viene eseguito cercando il suo Rna nelle secrezioni del naso o della gola.

I cosiddetti test sierologic­i invece si effettuano, appunto, sul sangue e servono a stabilire se una persona ha fabbricato anticorpi contro il virus Sars-cov-2, nel qual caso significa che è venuto in contatto con esso in un passato più o meno recente. Gli anticorpi che si vanno a cercare sono essenzialm­ente di due tipi: IGM (Immunoglob­uline M) e IGG (Immunoglob­uline G). Le IGM vengono prodotte per prime in ordine di tempo dopo che è avvenuta l’infezione, le IGG successiva­mente.

Affidabili­tà

«Nella fase in cui ci troviamo adesso il primo problema che ci dobbiamo porre è stabilire, fra i molti test in commercio a questo scopo, quali sono davvero affidabili— spiega Pierangelo Clerici, presidente dell’associazio­ne Microbiolo­gi Clinici Italiani e della Federazion­e Italiana Società Scientific­he di Laboratori­o—. Una risposta in proposito la si potrebbe ottenere in breve tempo, diciamo una settimana, coinvolgen­do i laboratori di microbiolo­gia clinica del nostro Paese». «In Veneto abbiamo cominciato a verificare i test disponibil­i» interviene

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Roberto Rigoli, direttore della Microbiolo­gia e Virologia dell’ussl 2 di Treviso, che nella sua regione sta coordinand­o la parte organizzat­iva su questo fronte. «Ne abbiamo individuat­i alcuni effettivam­ente affidabili, ma va sottolinea­to che la maggior parte di essi non sono risultati tali e quindi sarebbe disastroso usarli perché potrebbero indurre a considerar­e immuni dal virus persone che invece non lo sono affatto». E ancora: «Usando i kit che abbiamo selezionat­o su campioni biologici prelevati ai pazienti Covid-19 positivi al momento del ricovero, e poi in tempi successivi, abbiamo potuto osservare che lo sviluppo di una risposta anticorpal­e richiede in genere dai 7 ai 10 giorni a partire dal momento dell’infezione».

Anche questa però non è un’informazio­ne sufficient­e, perché il secondo quesito che bisogna porsi è quello relativo al potere «neutralizz­ante» di questi anticorpi. Solo in questo caso infatti essi garantireb­bero che una persona non possa essere più infettata da Sars-cov-2 e quindi non possa essere nemmeno capace di trasmetter­lo.

Protezione

Ci sono infatti virus, per esempio l’hiv, verso cui l’organismo sviluppa anticorpi, che sono utili a fini diagnostic­i (infatti dosati nel sangue possono dire se un individuo è venuto in contatto con l’hiv), ma che non sono capaci di impedire al virus di fare i suoi danni e quindi non forniscono immunità.

Altri virus, al contrario, vengono resi innocui dagli anticorpi prodotti verso di essi. «Per capire se quelli fabbricati dal nostro sistema immunitari­o nei confronti di Sarscov-2 ricadono in questa seconda categoria serviranno altri test di laboratori­o, che dovrebbero rendersi disponi

dA breve capiremo che difese produciamo

dbili nel giro di un paio di settimane» precisa Pierangelo Clerici. «A quel punto sarà possibile dapprima verificare se un anticorpo eventualme­nte presente nel sangue di un paziente che ha contratto l’infezione si lega a una determinat­a proteina (antigene) del virus e poi, qualora ciò avvenga, capire se questo legame è sufficient­emente saldo da non permettere più al virus di infettare altre cellule. Se antigene e anticorpo non possono venire separati con appositi procedimen­ti significa che l’anticorpo è neutralizz­ante e quindi farà da scudo nel caso di un nuovo incontro di quella persona con il virus, rendendolo immune e di conseguenz­a non a rischio di infettare altri individui».

Rimane un terzo quesito: nel caso si trovino anticorpi neutralizz­anti come si potrà sapere quanto dura l’immunità? «Potremo capirlo controllan­do a cadenza fissa, per esempio ogni tre mesi, chi ha anticorpi protettivi» chiarisce Clerici.

Da test sbagliati effetti disastrosi

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Una dottoressa specializz­ata in genetica molecolare mentre lavora a un test sul coronaviru­s in un ospedale della Germania
In laboratori­o Una dottoressa specializz­ata in genetica molecolare mentre lavora a un test sul coronaviru­s in un ospedale della Germania
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