Verdi, il «ritratto» francese di un italiano inossidabile
Note Un saggio di Paolo Isotta (Marsilio) analizza i rapporti del compositore con la cultura d’oltralpe
Un inedito ritratto francese del Cigno di Busseto. Operando la scelta di giustapporre ed esaminare il magma di materiali utilizzabili attraverso un’accurata indagine storica, selezionate testimonianze dei suoi contemporanei, rilevanti aneddoti, acute interpretazioni e dettagliate analisi delle opere appartenenti al fertile periodo transalpino. È solo un accenno di quanto emerge dal vasto, mirabile, sontuoso saggio Verdi a Parigi di Paolo Isotta (Marsilio).
Le virtù dell’insigne musicologo, docente universitario, scrittore e critico si sommano in modo naturale: la capacità di condurre il lettore in un’aura di tangibile incanto e la sua monumentale cultura ben si sposano con l’utilizzo pregnante di uno stile raffinato, prezioso, sublime, equilibrato.
Ne scaturisce un raro esempio di storia della società, di cui Verdi è sommamente partecipe in un ruolo centripeto, sicuramente non un trattato di musicologia per addetti ai lavori. Suddiviso in quindici capitoli, il volume prende abbrivio da un approfondimento del Grand-opéra, genere di teatro musicale che caratterizzò il Settecento e l’ottocento in Francia, espressione diretta della classe dominante prima aristocratica, in seguito altoborghese, frutto di convenzioni in bilico tra esigenze della committenza statale e necessità artistiche di compositori ed interpreti. Ottenuto il successo internazionale con il Nabucco del 1842, Verdi compone ormai in modalità affini al teatro musicale francese, eccezion fatta per i divertissement, ossia i balletti.
Di particolare interesse il confronto, che l’autore attua, fra Verdi e Giacomo Meyerbeer, compositore tedesco allora in auge soprattutto in Francia, il più rappresentativo e popolare autore di Grandopéra. Addirittura Honoré de Balzac e George Sand lo accostano a Wolfgang Amadeus Mozart e Ludwig van Beethoven. Non solo. Johann Wolfgang von Goethe lo ritiene l’unico degno di musicare il Faust. Tuttavia le opere di Meyerbeer come Roberto il diavolo, Gli Ugonotti, Il profeta e L’africana non reggono una sfida qualitativa melodica con gli esiti verdiani di Rigoletto, La traviata, Don Carlos e Aida.
È senz’altro ammissibile un certo ascendente sul Cigno, indiscutibile ma fin troppo sovrastimato. Tanto che va messo in rilievo come il tedesco si completi agglutinando imprestiti in stile eclettico: mozartiano granitico, sodale di Carl Maria von Weber, epperò decisamente rossiniano con influssi di Weber e di Heinrich Marschner. Ciò che invece avvicina fortemente Verdi e Meyerbeer, lo asserisce Isotta, è «la comune visione pessimistica della Storia».
Penetrando nella biografia verdiana, intanto il legame fra il Maestro e Giuseppina Strepponi continua a rafforzarsi. Un anno decisivo è il 1846. In ottobre, coraggiosamente da sola, lei decide di vivere a Parigi. Ritirandosi dalle scene, malaticcia, si dà all’insegnamento del canto, continuando nondimeno ad occuparsi degli interessi di Verdi. Il Cigno di Busseto sta ormai per debuttare all’opéra. Di conseguenza risulta necessario per lui imparare bene il francese, come testimonia una lettera inviata all’amico librettista Francesco Maria Piave. Un esordio che è il punto d’approdo d’ogni importante compositore europeo in un teatro verso cui il Maestro nutre crescente disprezzo e chiama persino la «grande Boutique», poiché lo irrita continuamente, con la macchinosità, il livello deludente di orchestra e coro, i tempi morti. Caso per caso, distintamente ma con una visione unitaria, esaltando le impulsive energie dell’umana esperienza, Isotta tesse una rilettura delle opere ideate da Verdi su testo francese, ricostruendo il suo intrigante legame dai molteplici risvolti con arte, letteratura, cultura gallica e compositori o romanzieri quali Hector Berlioz, Charles Gounod, Victor Hugo, Honoré de Balzac, Alexandre Dumas, Gustave Flaubert.
L’autore esamina inoltre la genesi delle opere in contiguità con il mondo transalpino come Giovanna d’arco, Jérusalem (che altro non è che l’adattamento per il pubblico transalpino de I Lombardi alla prima crociata), Rigoletto, Il trovatore, La traviata, Les vêpres siciliennes, Un ballo in maschera e il Don Carlos, probabilmente il capolavoro assoluto di Verdi, però cantato in versione francese, lingua nella quale viene partorito, e non nel successivo rifacimento italiano.
Il testo
È (anche) una storia della società, in cui il compositore ha un ruolo centrale