RINASCERE, COME IL PONTE
Domani su 7 il viaggio nel cantiere genovese dove il nuovo viadotto va avanti anche in questi giorni terribili. Una copertina speciale che raddoppia per raccontare una storia italiana di speranza e forza
Il cantiere avanza mentre l’italia si ferma, là c’è un via vai continuo di operai e ingegneri, tutto intorno silenzio. Il cantiere è «il cantiere della vita», come è stato ribattezzato da chi vi lavora, ovvero il cantiere del nuovo ponte di Genova. Già, siamo tutti travolti dalla contabilità più triste, quella dei decessi e dei contagi che arrivano ogni giorno, e a Genova è quasi iniziato il conto alla rovescia. Per (non) dimenticare quella tremenda mattina del 14 agosto 2018. Lo racconta domani su 7 Marco Imarisio nel suo speciale reportage di copertina - una copertina che corre su doppia pagina per abbracciare tutto il giornale. Un viaggio di parole e immagini (le foto sono di Luca Locatelli) che dà voce a quelle persone che stanno trasformando in possibile un’impresa che sembrava irrealizzabile nella nostra Italia afflitta da burocrazia e cantieri infiniti. Cronaca di un miracolo. «Quando sarà finito, ne saremo orgogliosi — scrive Imarisio —. E forse sarà quello il segno di un nuovo inizio. Per Genova, e per l’italia».
E così, una dopo l’altra sfilano le storie di Laura Zanoner, genovese di Pegli, due figli; di Federico Barabino, che è nato, cresciuto e vive a Rivarolo, quartiere della Valpolcevera. Entrambi chiamati a far parte della «squadra dei sogni» nel dicembre del 2018 dal direttore del Rina, il Registro italiano navale specializzato nel coordinamento della sicurezza dei cantieri. Oltre a loro Stefano Mosconi, che per Salini-impregilo ogni tot anni fa le valigie e con moglie e figli cambia casa, vita, colleghi. È stato in
Libia, in Romania, in Austria e ora a Genova. Lui che è di Bergamo, come la moglie. «Vive al campo base del cantiere dal primo giorno e mangia in mensa — racconta Imarisio —. Una sera di fine settembre decide di evadere. Una pizza al Porto Antico. “Ma lei lavora al ponte?” chiede il cameriere. Risposta affermativa. “Grazie davvero”».
Ostacolo dopo ostacolo il cantiere avanza. Ed è probabile che per l’estate in arrivo potrebbero transitarvi le prime auto. Perché anche il coronavirus che si è messo di mezzo in questi ultimi mesi non è riuscito a spegnere l’impresa di questi italiani, che in fondo siamo noi. Un modello vincente, per una volta. Che non si ferma mai, che non conosce riposo, ferie o malattia, che usa quasi all’unisono le stesse parole forti, a volte opposte. Parole come orgoglio e paura, coraggio e fatica, onore, prudenza, audacia. Perché in fondo «anche le parole sono materiale da costruzione», scriveva l’architetto e intellettuale triestino di nascita ma milanese d’adozione Ernesto Nathan Rogers, negli anni difficili, e nel contempo pieni di vita ed entusiasmo, della ricostruzione, subito dopo la fine della guerra. E talvolta anche i materiali sono parole che costruiscono, che lasciano il segno. Cemento, acciaio, forza.
Tra gli altri articoli che troverete su 7, il bellissimo, struggente racconto di Emanuele Trevi che ha perso la madre, medico, in terapia intensiva e l’intervista di Vittorio Zincone al sindaco di Bari e presidente dell’anci Antonio Decaro alle prese con quei concittadini in fuga nelle strade chiuse per contagio.