Le mille luci di Lisbona Qui anche la malinconia diventa una forma d’arte
Dopo Virgilio nessuno aveva più scomodato Giove e i suoi olimpici compari per giustificare il ruolo imperiale della propria città. Lo fece invece nel 1572 Luís Vaz de Camões con un poema epico destinato a diventare popolarissimo, opera base della letteratura portoghese. Ancora oggi a scuola si studiano i versi di «Os Lusíadas», i figli di Luso, guidati nei secoli dalla mano divina verso l’ineluttabile destino di padroni del mondo.
Chi sorride oggi, pensando alla bancarotta pubblica di pochi anni fa, alla disoccupazione, all’esiguità del Pil, non ricorda il «capitano eloquente» (Vasco de Gama) e la vastità dei dominii portoghesi. Mai nella storia un Paese tanto piccolo, tanto povero e spopolato è riuscito a dominare spazi così sconfinati. Il sogno di Vaz de Camões è durato pochi decenni, ma il risveglio è stato lentissimo. Lisbona ha preferito continuare a illudersi, sperare, coltivare la malinconia fino a farne un’arte e ha finito per mimetizzarsi con le sue proprie colonie. In nessun’altra capitale europea esiste un meticciato così radicato e fecondo. Il primo ministro António Costa, che sta portando il Paese fuori dalle secche della Grande Crisi, è di origine indiana. È angolana la prima proprietaria immobiliare di Lisbona, brasiliani i successi musicali.
Nonostante, sia da secoli ai margini del mondo che ha aiutato a scoprire, Lisbona non è una capitale decaduta. Nostalgica, fatiscente a volte, ma non decaduta perché non è mai stata altezzosa o arrogante. Ancora oggi quell’atmosfera che incanta i turisti arriva da quell’attitudine dolce, rassegnata, verso il destino che non ha fatto in tempo a compiersi.
Il Monasterio de los Jerónimos e la Torre di Bélen sono così assurdamente sfarzosi da essere inverosimili, onirici appunto, isolati in un tessuto urbano ben più modesto e adatto alla reale dimensione della città.
I tram sferragliano attraverso vie simili a quelle di una kasbah e sono ben più concreti dei delfini o delle navi scolpite sui palazzi-vetrina. Dalle carrozze della celebre linea 28 pare di attraversare dei continenti non una città: si passa dall’africa a Parigi, dall’oceano infinito al Cimitero dei Piaceri, paradossale capolinea di un tram e di migliaia di vite.
Trasfigurata da Fernando Pessoa, ridisegnata da Antonio Tabucchi, Lisbona è città femmina, mai uguale a sé stessa, passionale. La sfida del viaggio del Corriere della Sera sarà di coglierne il richiamo sensuale. Imperdibili a Lisbona sono i Pastéis de Belém, dolci fantastici, il baccalà in tutte le sue varianti e la luce asciutta, trasparente che si vede solo lì.
Maggio dovrebbe garantire giornate di sole rinfrescate dal vento, ma soprattutto quella incredibile luminosità. Tutti sembreranno più belli nelle foto. E Lisbona, il buen ritiro di Cascais, il giocattolo di Sintra e l’incredibile sperone di Cabo da Roca sull’atlantico appariranno baciati dal fato per la gioia postuma del Virgilio portoghese e nostra.