Mazzavillani sceglie una via non ortodossa per la sua «Aida»
Due cose saltano all’occhio perché non ortodosse. La prima è la danza di moretti nella scena del trionfo realizzata come coreografia di strada da ragazzini della zona: non si amalgama con lo spettacolo ma è un bel segno del legame del teatro con la città. La seconda, un superbo lamento funebre ottimamente cantato in turco da Simge Büyükedes dopo la scena del giudizio, è una toccante parentesi dentro l’opera, che contribuisce però a metterne a fuoco il nucleo tragico poiché lo osserva da un’altra prospettiva. Per il resto, quella prodotta da Ravenna Festival all’alighieri è un’aida di buona fattura. Come sua abitudine, la regista Cristina Mazzavillani Muti usa le videoproiezioni (di Ezio Antonelli) come scenografia che illustri, coi suoi colori, i suoi tagli di luce e le sue forme stilizzate, i riflessi emotivi dell’azione. Unica suggestiva eccezione è la statua di una carcassa di cammello nel 3° atto, quando il fato, complici le umane debolezze, ordisce il suo disegno. Diretta da Nicola Paszkowski, la prova della Cherubini è solida, salvo nel temibile Preludio (gli archi faticano) e nel grandioso concertato staccato con tempi assai mossi, specie per il coro. Applausi anche per il cast, che vede in Monika Falcon e Lara Guidetti interpreti imperfette tecnicamente ma di sicura forza drammatica. Il Radames di Azer Zada ha invece tanta voce e ancor più margini di miglioramento.
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