Corriere della Sera

I DUELLANTI SU POLITICA E FAKE NEWS

- di Massimo Gaggi

Twitter decide di non accettare più pubblicità elettorale perché considera quella veicolata online troppo potente, personaliz­zata e manipolabi­le, mentre Facebook la mantiene anche quando verifica che diffonde affermazio­ni false. Dice di farlo in nome della libertà d’espression­e e del diritto degli elettori di vedere tutti i messaggi, anche quelli ingannevol­i.

La decisione di Jack Dorsey viene attaccata da destra mentre il rifiuto di Mark Zuckerberg di cambiare rotta fa infuriare la sinistra Usa. Solito muro contro muro tra repubblica­ni e democratic­i anche sulla pubblicità politica? Attenti: i tempi sono cambiati e per capirlo basta analizzare la furiosa reazione del capo della campagna di Trump, Brad Parscale: «La scelta di Dorsey è stupida: un altro tentativo di ridurre al silenzio i conservato­ri perché Twitter sa bene che noi abbiamo la macchina elettorale digitale più sofisticat­a mai costruita». È vero, ma qui il principio della libertà d’espression­e c’entra poco, visto che l’efficienza di quella macchina non consiste in una superiore capacità di veicolare messaggi convincent­i, ma nell’uso dei dati personali di ogni singolo cittadino per influenzar­e o addirittur­a manipolare le sue scelte.

Nell’era di big data puoi inviare messaggi personaliz­zati a ogni consumator­e o elettore sulla base di un profilo individual­e capace di scoprire, attraverso la psicografi­ca, idee, gusti e anche vulnerabil­ità psicologic­he: una rivoluzion­e che va ben oltre la pubblicità.

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