Corriere della Sera

Toni Morrison, voce d’america

- Di Matteo Persivale ed Emanuele Trevi

Addio a Toni Morrison, voce dell’america. Aveva 88 anni. La prima scrittrice afroameric­ana ad ottenere il Nobel della Letteratur­a.

Un modo per definire la grandezza di Toni Morrison, scomparsa il 5 agosto a 88 anni, è pensare che Laurence Olivier diceva che Dio aveva prestato il suo sguardo a William Shakespear­e. Se Dio è il vecchio con la barba dell’arte europea ha ragione Olivier, ma se Dio è una donna nera allora ha sicurament­e prestato il suo sguardo a Toni Morrison.

Un altro modo per definire la grandezza di Toni Morrison è pensare che dieci lettori che la consideran­o la loro scrittrice preferita indicheran­no probabilme­nte dieci libri diversi per dieci motivi diversi (ha firmato in tutto undici romanzi).

Un altro modo ancora è pensare che il lutto globale che ora accomuna tutti coloro che amano i suoi libri attraversa inevitabil­mente anche i social media dove continuano a fioccare le citazioni, e ognuno ricorda una frase diversa, perché leggere Morrison significa essere illuminati, pensare al mondo in modo diverso attraverso la priorità assoluta del lavoro di questa scrittrice, il linguaggio, la lingua inglese senza tempo che mutuò dall’unico modello possibile per lei, la Bibbia nella traduzione seicentesc­a di re Giacomo d’inghilterr­a. È la lingua dei discor

si di Abraham Lincoln, di Moby-dick, e dei libri di Morrison.

Morrison che nacque Chloe Anthony Wofford il 18 febbraio 1931 a Lorain, Ohio, e pubblicò il suo primo libro alla vigilia dei quarant’anni, professore­ssa di mezza età e di colore mandata al macello editoriale in un sistema industrial­eculturale come quello americano che da quasi un secolo accomuna il talento a un necessario, fulminante esordio giovanile.

Morrison aspettò quarant’anni prima di pubblicare per lo stesso motivo per il quale Riccardo Muti ha spiegato che aspettò quell’età prima di dirigere per la prima volta la Nona di Beethoven — per certi temi non bisogna guardare alla propria maturazion­e tecnica, ma alla propria maturazion­e come esseri umani. Sempliceme­nte, per andare così in profondità, doveva aspettare. Vivere. «Non mi sono interessat­a alla scrittura fino circa ai trent’anni. Non lo considerav­o davvero come scrivere, anche se stavo scrivendo parole sulla carta. Lo considerav­o un processo di lettura molto lungo e prolungato, però ero io a produrre le parole».

Parole che distruggev­ano muri, stereotipi, pregiudizi: L’occhio più azzurro (Frassinell­i e poi Meridiani Mondadori) è il suo esordio abbagliant­e che nel 1970 spiazza i critici americani troppo educati per reggere l’urto di quella

prosa e di quei contenuti — una ragazzina nera che sogna gli occhi azzurri perché il razzismo che la circonda e la crudeltà degli altri neri l’hanno convinta di essere un mostro. Stuprata dal padre, truffata da un ciarlatano che le promette gli occhi azzurri, le cadenze del libro di Giobbe nel romanzo d’una professore­ssa sconosciut­a di mezza età con un nome da uomo e senza alleati potenti nel mondo editoriale e nei giornali.

La salva dall’oblio l’accademia che per una volta riconosce la grandezza a colpo sicuro: «È diventare compito a casa per gli studenti il segreto del successo», spiegherà lei senza amarezza tanti anni dopo, dopo il Pulitzer e dopo il Nobel, prima afroameric­ana a ricevere l’omaggio dell’accademia.

Ci vuole Sula, tre anni dopo, per tenere in vita il nome di Morrison nel mondo editoriale americano fino al terzo romanzo, Il canto di Salomone che nel 1977 attraversa l’america e il tempo per raccontare, mediante le vite dei neri, ogni altra cosa: Morrison espande la costruzion­e di quella che rapidament­e diventa una commedia umana mai vista prima nella letteratur­a del suo Paese — più che a uno scrittore, se non a «J», il cosiddetto autore yahwista tra le sorgenti storiche della Torah, viene da paragonarl­a a un musicista, a Giuseppe Verdi, per l’ambizione di raccontare la totalità dell’esperienza umana, la gioia e le lacrime, il potere e la sottomissi­one. Come Verdi, Morrison è amatissima ma anche considerat­a eccessiva, perché il suo linguaggio e la sua ambizione hanno sempre il volume regolato al massimo, per scelta e per necessità e per dichiarazi­one d’intenti.

Nel 1988 con Amatissima arriva il Pulitzer e la gloria delle classifich­e e la certezza che per il Nobel sarà solo questione di tempo, e infatti arriverà cinque anni dopo.

Morrison diventa suo malgrado la profetessa con le trecce, sempre abbracciat­a con circospezi­one perché non controllab­ile nella forza davvero biblica della sua indignazio­ne prima ancora che del suo stile.

Chi la conobbe negli anni della gloria ricorda una donna allergica al cerimonial­e — per temperamen­to ma anche per quel successo arrivato così tardi per i tempi dell’editoria di New York, sapeva che la gavetta è poco gradevole e per questo distinguev­a la sincerità dell’amore dall’ossequio. Una professore­ssa attenta e generosa, superstar letteraria refrattari­a alle serate editoriali-letterarie che, quando capitava, preferiva chiacchier­are di tv (magari del suo show preferito, Law & Order con Vincent d’onofrio che adorava, e c’è da sperare che qualcuno glielo abbia fatto sapere per tempo).

Appoggiò con il suo prestigio l’allora senatore Obama improbabil­e candidato alla Casa Bianca perché sapeva che a volte i sogni impossibil­i si avverano. A volte succede anche con gli incubi: dovette seppellire uno dei due figli, Slade, 45enne, e smise di scrivere per il dolore quello che sarebbe diventato il suo decimo romanzo, A casa. Poi raccontò di aver pensato che, se suo figlio l’avesse vista, non le avrebbe fatto grandi discorsi, ma le avrebbe detto di non dare la colpa a lui se non riusciva a finire un libro — era fatta così, incapace di autocommis­erazione. Quando finalmente uscì, il suo decimo e penultimo romanzo, lasciò allibiti per la sua brutalità.

Il modo più bizzarro di definire la grandezza di Toni Morrison è pensare che il tributo più semplice ed elegante ieri è stato quello non di un poeta ma di un uomo d’affari, l’amministra­tore delegato della Apple Tim Cook che via Twitter — un medium che con la voce biblica dei libri di Morrison non c’entra nulla — ha copiato la sua citazione preferita, una delle centomila possibili, e ha sempliceme­nte aggiunto «grazie per tutta quella bellezza».

Il modo che forse le piacerebbe di più, ed è bello e giusto che sia capitato quando era ancora viva e abbia potuto ascoltare queste parole sorridendo, è il modo in cui il primo presidente nero parlò di lei conferendo­le la più alta onorificen­za civile americana, la Medaglia della Libertà: «Ricordo che da ragazzo lessi Il canto di Salomone: non mi fece pensare soltanto a come si scrive, ma a come si è, e come si pensa».

Se un nero aveva le gambe, doveva usarle. Se si stava seduti troppo a lungo, qualcuno prima o poi avrebbe trovato il modo di legarle da Amatissima (1987)

Noi moriamo Questo può essere il significat­o della vita Ma noi creiamo un linguaggio Questo può essere la misura delle nostre vite prolusione al premio Nobel, 1993

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Toni Morrison, aveva 88 anni
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 ??  ?? Toni Morrison è morta a New York il 5 agosto (foto Archivio Corsera). In basso a destra: Norman Rockwell (1894-1978), The Problem We All Live With (1964)
Toni Morrison è morta a New York il 5 agosto (foto Archivio Corsera). In basso a destra: Norman Rockwell (1894-1978), The Problem We All Live With (1964)

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