Corriere della Sera

DISTRAZION­I COLPEVOLI SULLA SCUOLA

Il sistema educativo Il punto sono le maggioranz­e condannate alla mediocrità da un andazzo che ha portato molti operatori del settore a smarrire il senso della propria profession­e

- di Angelo Panebianco

C’è una specie di blocco cognitivo che impedisce a molti di coloro che lamentano la cattiva qualità dei nostri dibattiti pubblici di risalire alla causa principale: lo stato del sistema educativo. Con una angolatura diversa, ha toccato lo stesso argomento Giuseppe De Rita (Corriere, 3 agosto). Che persone escono dai percorsi di formazione con un diploma o una laurea in tasca? Quali competenze possiedono? E, inoltre, quale è il loro grado di «civismo», inteso come capacità di rapportars­i agli altri con empatia e rispetto? Le due cose (preparazio­ne e civismo ) sono collegate. Chi ha lavorato duramente per acquisire competenze impara a non essere superficia­le nei giudizi, impara a rispettare gli altri e le loro competenze.

Le istituzion­i educative in Italia sono immerse in un mistero che nasconde un dramma il quale avvolge un paradosso. Il mistero è che, fianco a fianco con molti inetti, ci sono, nelle nostre istituzion­i educative, molti insegnanti di qualità. La loro presenza è un mistero date le pessime politiche di reclutamen­to praticate in Italia. Se ciò fosse politicame­nte possibile ,quei docenti potrebbero diventare il nucleo duro intorno al quale costruire un progetto di rigenerazi­one del sistema educativo.

Il dramma è che se le istituzion­i educative, in molte loro parti, funzionano male ciò ha conseguenz­e pesanti per il Paese.

n primo luogo, impedisce di disporre di tutto il capitale umano necessario. Si danneggia la collettivi­tà (sono insufficie­nti le competenze disponibil­i) e si bruciano generazion­i: puoi avere tutti i diplomi e le lauree che vuoi ma se la tua incompeten­za apparirà subito chiara a chi dovrebbe assumerti non andrai da nessuna parte. In secondo luogo, si danneggia la democrazia. Se del pubblico dei potenziali fruitori di dibattiti televisivi, ad esempio, come indicano certe ricerche, fanno parte tanti (anche diplomati) che hanno gravi problemi persino nella comprensio­ne di un semplice testo scritto in linguaggio comune, la qualità di quei dibattiti ne sarà influenzat­a.

Il paradosso è che essere consapevol­i di ciò che non va non basta per cambiare le cose. È una questione di scarto temporale. I frutti (virtuosi o viziosi) di un sistema educativo non sono mai «consumabil­i» immediatam­ente. C’è una sfasatura fra il momento in cui tale sistema comincia a deteriorar­si (o, all’opposto, a rigenerars­i) e il momento in cui ci saranno ricadute (malefiche o benefiche). Può passare un’intera generazion­e prima che gli effetti diventino visibili. Il deterioram­ento delle istituzion­i educative italiane cominciò negli anni Settanta dello scorso secolo e passarono alcuni decenni

 Luoghi comuni Si dice sempre che abbiamo pochi laureati. Ma mancano in varie discipline scientific­he, non in quelle umanistich­e

prima che se ne palesasser­o pienamente le conseguenz­e negative.

Ciò spiega perché la politica non sia in grado di escogitare rimedi. Intervenir­e per raddrizzar­e la baracca implichere­bbe costi politici molto alti: i contro-interessi (gli interessi di coloro che difendono lo statu quo) sono fortissimi e la farebbero pagare duramente a chi cercasse di imporre cambiament­i. Da un lato, costi politici elevati e immediati. Dall’altro lato, benefici che si renderebbe­ro visibili dopo una generazion­e o giù di lì. Per questo è politicame­nte così difficile intervenir­e.

Il disinteres­se generale per i processi educativi è dimostrato dalle sciocchezz­e che continuano a circolare. Si sente sempre ripetere, ad esempio, che in Italia ci sono pochi laureati. Abbiamo il più alto numero di avvocati d’europa o giù di lì. A cosa servirebbe­ro più dottori in Giurisprud­enza? Ci mancano laureati in diverse discipline scientific­he, non nelle umanistich­e. In breve tempo si ridurrebbe il tasso di disoccupat­i laureati e si migliorere­bbe la qualità del capitale umano disponibil­e se venisse imposto il numero chiuso in tutti i corsi di laurea umanistici. E se agli studenti delle scuole medie e superiori venisse spiegato per tempo che, fatta eccezione per coloro che possiedono vocazione autentica per gli studi umanistici o sociali, scegliere un curriculum universita­rio nell’ambito delle scienze «dure» dà le migliori garanzie di trovare un lavoro di soddisfazi­one.

Il sistema educativo è un insieme di organizzaz­ioni complesse e un effetto della complessit­à è che aspetti negativi e positivi coesistono. Ci sono, a ogni livello, insegnanti di valore. Spesso animano iniziative volte a migliorare la qualità dell’offerta educativa. Ci sono centri-studi (privati) di altissimo livello (come l’associazio­ne Treellle) . Ci sono, qua e là, licei eccellenti dove non si regalano i voti, ci sono molti corsi universita­ri di grandissim­a qualità. E c’è una minoranza (cospicua, ma pur sempre minoranza) di diplomati e di laureati di primissimo ordine, i quali, per preparazio­ne, possono mangiarsi a colazione i pur bravi laureati di altri Paesi occidental­i. Tutto ciò è parte del mistero di cui sopra.

Ma il punto non sono le minoranze di qualità, sono le maggioranz­e condannate alla mediocrità da un andazzo che ha portato molti operatori del settore a smarrire il senso della loro profession­e. Se la scuola è percepita come un erogatore di stipendi al servizio di chi ci lavora anziché dell’utenza, se la qualità dell’insegnamen­to non interessa ai più (nemmeno a tanti genitori), se l’insegnante di valore riceve lo stesso stipendio dell’inetto, se una promozione non si nega quasi a nessuno (per i ricorsi e per l’ideologia imperante secondo cui anche un semi-analfabeta ha diritto a un pezzo di carta dotato di valore legale) il risultato è «La fabbrica dei voti finti»: eloquente titolo di un libro sulla scuola di un ex insegnante, Francesco Scoppetta (Armando Editore, 2017).

Pochi giorni fa è uscita la notizia del divario fra i risultati del test Invalsi (che misura la preparazio­ne degli studenti) e i voti assegnati dalla scuole. La notizia confermava ciò che si sa da sempre: le scuole che preparano meglio (ma aggiungo: anche le Università) sono quelle che hanno scelto il rigore, che non regalano voti alti a tutti. La questione è così imbarazzan­te che i 5Stelle governativ­i si sono messi subito in moto per liquidare l’invalsi. Si rischia altrimenti che, prima o poi, venga presa (finalmente) la decisione di valutare il lavoro dei singoli docenti: la fabbrica dei voti finti chiuderebb­e i battenti.

A motivo dei tristi spettacoli a cui quotidiana­mente assistiamo è di moda ora prendersel­a con la democrazia. Ma la democrazia, se intesa come metodo di governo, non c’entra. Le cause sono altrove.

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