La Sicilia, l’amore, la vita che fugge in un canzoniere erotico e cupo
Versi Esce oggi per ES «È ancora tempo di arcobaleni?», nuova raccolta di poesie di Sebastiano Grasso
Quattro anni dopo «La linea rossa e lilla del tuo confine» (presentato da Evgenij Evtushenko), Sebastiano Grasso torna oggi in libreria con «È ancora tempo di arcobaleni?» (ES), con un saggio di Martin Mclaughlin, docente di Letteratura italiana all’università di Oxford, una poesia di Adonis e dieci disegni di Ruggero Savinio. Anticipiamo parte del saggio («Una stagione emiliana»).
Gli autori di prefazioni ai libri di poesie precedenti di Sebastiano Grasso formano una lista molto prestigiosa (Bo, Luzi, Krumm, Raimondi, Bevilacqua, Risset, Evtushenko, Saramago, Adonis, Svenbro). Molti di loro hanno menzionato l’influsso della tradizione petrarchesca sui suoi versi. L’accostamento Petrarcagrasso sembra sia giusto anche per quanto riguarda quest’ultimo libro, bello e breve, intitolato È ancora tempo di arcobaleni?. Infatti, la maggior parte dei versi sono d’intonazione amorosa (molto più espliciti rispetto a quelli del casto poeta trecentesco), alcuni contengono allusioni a persone scomparse, e altri evocano i ricordi del poeta da giovane (il paesaggio oscilla tra la Sicilia dell’adolescenza, la Lombardia, dove Grasso vive da tanti anni, e il castello di Riva, in provincia di Piacenza, dove è nata questa raccolta).
Come nel Canzoniere petrarchesco, ci sono diversi rimandi al mondo dell’arte e della letteratura. Anche la forma del libro ha degli elementi petrarcheschi: si tratta di un breve canzoniere di esattamente 50 poesie (adatto dunque alla nostra epoca in cui nessuno ha più tempo per una raccolta da 366 unità), molte delle quali hanno quasi la stessa lunghezza di un sonetto (di solito tra i 10 e i 17 versi, ma con un’estensione massima di 22 versi). E anche la metrica si avvicina a quella del grande modello: ogni verso o è un endecasillabo o vi si approssima.
Tornando ai contenuti, certo Eros e Thanatos dominano, ma ci sono anche altre tematiche. Innanzi tutto, l’atteggiamento suggerito dal titolo stesso del libro, È ancora tempo di arcobaleni?, evoca un mondo che è in qualche modo appena sopravvissuto ad una catastrofe e in cui l’aiuto del dio non è garantito. Il tono qui è più cupo rispetto alle precedenti raccolte di Grasso: si sente la tristezza del poeta per il tempo che passa (i rapporti amorosi finiti, gli amici e i parenti scomparsi, perfino l’amato cane Blake, recentemente sepolto). La conclusione di una delle prime liriche richiama esplicitamente la domanda contenuta nel titolo del libro ma offre, nell’ultimo verso, solo una risposta negativa («Che la follia / entri a far parte dei dati ufficiali / con luogo e data di nascita. Poi mi sostituii / a dio e venne il giorno della Cacciata: “Non è più tempo di arcobaleni!”» (Oltre la rabbia).
In altri momenti ritroviamo la sensualità e l’erotismo tipici delle raccolte precedenti di Grasso. Così nella chiusa di questi versi si trova, accanto alle tematiche del paesaggio siciliano dell’infanzia, e dell’autunno, questo straordinario ricordo erotico: «Le estati si perdono nei filari / di Verzella e l’autunno principia in cantina / con l’odore del mosto versato nelle botti / che hanno il colore della tua gonna di martedì / scorso. Spiavi il mio sguardo, accompagnavi / le mani che s’involavano sotto la gonna, sfioravano / l’elastico che segnava il pube e — fa, la, do, mi — / ne tastavano un ipotetico suono» (In cantina) […].
Grasso ha un ottimo senso della struttura della raccolta, ma anche a livello microtestuale della singola poesia è un esperto nel finale: in Eusebio e Clara evoca prima i suoi studi musicali (il titolo allude a Robert e Clara Schumann), poi le stampe erotiche di Utamaro, e finisce in sordina con il ricordo di un biglietto d’amore, la cui chiusa coincide con quella della poesia. In modo analogo, la conclusione di un’altra lirica allude alla fine di un rapporto sessuale: «La lontananza ridisegna il corpo, / le voglie e il gioco dei rifiuti, l’orgasmo / (“Canta, ti prego”) del tremore finale». La penultima poesia finisce con un’altra immagine metapoetica dell’autore stesso mentre scrive questi versi: «Forse un giorno non sarà troppo tardi, / come questa notte che si consuma / sul tavolo di lavoro a scrivere versi / su fogli domattina strappati come sempre» (Sogno dipinto).
L’immagine con i fogli strappati non è dissimile da quella evocata da Italo Calvino nel racconto-saggio La poubelle agréée (1974-1976), scritto nel bel mezzo di una crisi creativa. E un’altra somiglianza che accomuna i due autori è il fatto che anche Calvino amava molto «le cose che chiudono bene»: la sua ambizione era quella di essere uno scrittore artigianale […]. Alla fine della lettura si avrà la testa piena di immagini sensuali ma anche della grande musica, arte e letteratura degli ultimi due secoli.