SALVINI HA FIN TROPPI AMICI ORA HA BISOGNO DI CRITICI
Caro Maurizio,
M
atteo Salvini è il sicuro vincitore delle prossime elezioni europee, forse anche delle prossime politiche. La sua popolarità è al massimo storico. Siccome siamo un Paese abituato a correre in soccorso del vincitore, è tutto un fiorire di opinionisti che lo stimano molto, di soubrette che lo trovano bellissimo, di giornalisti che si scoprono sovranisti. L’esperienza insegna che in queste circostanze a un politico servono, più degli amici che trova a ogni angolo, dei critici che gli dicano quando sbaglia. Il rischio di bruciarsi in pochi anni è alto, soprattutto quando si cominciano a commettere errori per eccessiva sicurezza. Ad esempio, fraternizzare con il capo degli ultras del Milan appena uscito di galera per spaccio di droga è un duplice errore. Salvini non può fare un cosa del genere da ministro dell’interno che ha appena annunciato di voler triplicare le pene per gli spacciatori. E non può farla da leader che aspira alla guida del centrodestra italiano, vale a dire dello schieramento tradizionalmente maggioritario, che ha vinto le elezioni quando ha saputo tenere a freno le spinte radicali (sempre esistite già ai tempi della Dc e di Berlusconi) e dare voce anche ai moderati, ai liberali, ai cattolici.
Più in generale, Salvini ha talora atteggiamenti da capobanda di un partitino dell’1 per cento, che per esistere ha bisogno di vellicare gli estremisti; non da segretario di una forza che nei sondaggi supera il 30. Stesso discorso per quanto riguarda le continue citazioni del Duce. L’ho scritto e lo ripeto: definire fascista Salvini è sbagliato, fuorviante e pure irrispettoso delle vittime del fascismo, quello vero. Ma i «me ne frego», i «molti nemici molto onore», i «tireremo diritto» sarebbero ridicoli, se i precedenti non fossero tragici. Ho letto un tweet in cui Salvini si proponeva di rilanciare l’asse Roma-berlino, e ho pensato fosse un fake. Mi dicono che è autentico. Di sicuro lo è la risposta di Osho, che tradotta dal romanesco suona più o meno così: «A questo giro al Giappone non diciamo un cavolo».