«Una scelta che è segno di attenzione per la città»
«Sono orgogliosa della mia città e di come ha saputo reagire in questi mesi. E anche adesso per la ricostruzione: entrano in campo aziende genovesi e fa piacere sapere che daranno da lavorare ai miei concittadini. E poi la genovesità sta anche nella scelta del progetto di Renzo Piano. Diciamo che tutto questo è segno di un’attenzione per noi tutti. Un bene». Mimma Certo, classe 1947, guarda il bicchiere mezzo pieno. Da quando il ponte Morandi è venuto giù la sua vita è per forza di cose cambiata perché la sua casa — ci aveva messo piede la prima volta il 13 giugno 1960 — è al civico 14 di via Porro, proprio ai piedi del moncone del viadotto. E ovviamente anche lei, come centinaia di altre persone, è diventata una sfollata. Ha seguito da un’altra casa i passaggi politici, amministrativi, giuridici sul dopo disastro. «Tutto sommato — valuta — per essere stati in una situazione così grave i tempi sono stati abbastanza veloci per arrivare al punto in cui siamo». Due giorni fa Mimma ha firmato l’atto di cessione della sua casa. «C’è scritto “cessione volontaria”», dice con amarezza. «Ma quella parola — volontaria — non sarebbe proprio l’aggettivo giusto». Come lei anche Ennio Guerci, uno dei portavoce del comitato degli sfollati, si è organizzato la vita lontano dalla casa in cui ha vissuto per molti anni. E ieri ha saputo della decisione definitiva sulla ricostruzione del Morandi. «La parola “ricostruzione” che entra davvero in scena è senza dubbio un bene ma l’importante è che le conseguenze del decreto vadano poi nella maniera giusta. Dovremmo essere indennizzati al massimo entro inizio febbraio ma siamo in Italia... io finché non avrò visto l’assegno accreditato non mi sentirò al sicuro». Il progetto in sé? «Per noi l’uno vale l’altro» risponde. «Purché tenga conto della riqualificazione della zona. Fate dieci campate, le luci di Renzo Piano... ma non fate morire la zona che c’è sotto».