Corriere della Sera

«Ho sentito la voce di papà per l’ultima volta a 14 anni»

Lucy, figlia di Stephen Hawking: ora so quanto coraggio ha avuto

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«In casa si parlava sempre di scienza, ma io pensavo che fosse normale, perché ero una bambina e quella era tutta la mia esperienza di vita. All’epoca era più strano che mio padre andasse in giro con la sedia a rotelle e continuass­e a viaggiare e lavorare nonostante la sua disabilità. Solo da adulta ho capito quanto gli costasse». Lucy Hawking, 48 anni, è cresciuta con un padre ingombrant­e, Stephen Hawking, scomparso lo scorso 14 marzo a 76 anni: il più famoso scienziato del suo tempo e una persona che per oltre mezzo secolo ha dovuto combattere con le conseguenz­e di una malattia terminale, la sclerosi laterale amiotrofic­a. Oggi Lucy si dedica a diffondere la sua eredità intellettu­ale e in questi giorni sta seguendo l’uscita del libro postumo di suo padre Le mie risposte alle grandi domande (Rizzoli, nelle librerie da ieri) tra Londra e Cambridge.

Era complicato farvi da padre nella sua situazione?

«Lo era. Da bambina non ero in grado di apprezzare la grandezza del suo coraggio e della sua sofferenza. Non sono riuscita a farmene una ragione fino a quando non sono diventata adulta. Era mio padre e quindi forse alcune cose che erano ovvie per gli altri non lo erano per me».

Cosa facevate insieme?

«Mi piaceva disegnare e mettere in scena spettacoli a cui la mia famiglia doveva fare da pubblico. Mio padre lo trovava molto divertente. In seguito a volte andavamo insieme a teatro. In generale facevamo le cose che fanno tutte le famiglie, ma poi andavamo all’osservator­io a guardare le stelle con il telescopio. Nel 1984 mi ha portata con lui a Mosca, dove era stato invitato da dei fisici russi: non è capitato a tutti di visitare l’unione Sovietica da adolescent­e».

Il grande pubblico ha sempre sentito parlare suo padre con un sintetizza­tore: lei si ricorda la sua voce?

«Sì, me la ricordo!».

Nel suo tono si sente per un

L’insegnamen­to Mi diceva di non mollare mai: «Se ti trovi in un buco nero, non arrenderti, c’è sempre un modo per uscirne». Lui l’ha fatto fino alla fine

momento una commozione profonda, poi spiega: «Avevo 14 anni quando ha smesso di parlare. Io e mio fratello più grande, Robert, riuscivamo ancora a capirlo, ma per gli altri era diventato troppo difficile. Il sintetizza­tore gli ha ridato chiarezza per tutti».

Siete vissuti sapendo di poterlo perdere: vi ha cambiato?

«Familiari e amici delle persone con una malattia terminale condividon­o la stessa esperienza: vivi nel presente, e trovi difficile fare piani a lungo termine, non dici “nei prossimi tre anni...”, programmi sul breve periodo».

Questo ha influenzat­o anche la ricerca di suo padre?

«Ha focalizzat­o la sua mente perché era determinat­o a fare qualcosa della sua vita. Ha avuto un’esistenza straordina­riamente lunga nella sua condizione, ma non lo sapeva: sarebbe potuto morire in ogni istante. E ha cercato di tirar fuori il meglio da tutto».

Pensa che la sua eredità più importante sia scientific­a o umana?

«Nel suo caso non si possono separare, sono l’una parte dell’altra. Ha fatto scoperte innovative per la profondità delle domande che ha posto, l’originalit­à delle sue intuizioni e la creatività del suo pensiero. Ma è stato importante anche perché riteneva fondamenta­le comunicarl­e in un linguaggio accessibil­e alle persone comuni affinché capissero che cosa significav­ano per la loro vita».

Nel libro appena uscito parla della possibilit­à di creare una razza di «superumani» grazie all’ingegneria genetica: lo preoccupav­a?

«Come scienziato, come persona disabile e fautore convinto della medicina scientific­a accoglieva con favore questi sviluppi tecnologic­i. Ma diceva anche che non si può guardare solo ai benefici delle nuove tecnologie. Bisogna anche considerar­e quali sono i rischi».

Vale anche per l’intelligen­za artificial­e?

«Sì. Per questo chiedeva di istituire regole etiche e termini di condotta in cui svilupparl­a. L’intelligen­za artificial­e è uno strumento senza eguali nella storia dell’umanità, perché può superarci nelle cose che è in grado di fare. Per questo riteneva fondamenta­le assicurarc­i che i suoi obiettivi siano in linea con quelli dell’umanità».

La cosa più importante che ha insegnato a lei qual è?

«Non mollare mai. Diceva sempre: se ti trovi in un buco nero, non arrenderti, c’è sempre un modo per uscirne. Lui lo ha fatto fino all’ultimo, con grazia e senso dell’umorismo».

 ?? (foto Reuters/ Suzanne Plunkett) ?? InsiemeIl fisico teorico Stephen Hawking, deceduto lo scorso 14 marzo, con la figlia Lucy alla cerimonia di premiazion­e della British Academy of Film and Arts alla Royal Opera House di Londra l’8 febbraio 2015
(foto Reuters/ Suzanne Plunkett) InsiemeIl fisico teorico Stephen Hawking, deceduto lo scorso 14 marzo, con la figlia Lucy alla cerimonia di premiazion­e della British Academy of Film and Arts alla Royal Opera House di Londra l’8 febbraio 2015

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