Corriere della Sera

Da Appendino a Sala Il fronte dei sindaci (e il ruolo dei giudici) nella sfida sui diritti

- di Elena Tebano

Quello che «sta accadendo in questi ultimi mesi in materia di riconoscim­ento della genitorial­ità» delle coppie gay e lesbiche, come lo ha definito il ministro della Famiglia Lorenzo Fontana, è in realtà un processo iniziato più di quattro anni fa, quando le famiglie arcobaleno hanno cominciato a rivolgersi ai giudici per tutelare i loro figli.

La prima ad essere riconosciu­ta è stata una coppia di madri lesbiche a Roma: il Tribunale dei minori presieduto dalla giudice Melita Cavallo, nel 2014, ha concesso alla madre non biologica l’adozione in casi speciali (poi ribattezza­ta stepchild adoption). Una forma di genitorial­ità limitata — subordinat­a all’esame di un giudice e non piena — ma più dell’assenza di garanzie che c’era prima.

Sull’esempio di Roma i genitori gay e lesbiche assistiti da un manipolo di avvocati impegnati sul fronte dei diritti civili (Rete Lenford, lo studio Schuster di Trento, il gruppo legale di Famiglie Arcobaleno) iniziano a rivolgersi ai magistrati in molte città italiane, con esiti diversi. Fino a quando la Cassazione nel 2016 conferma la linea del riconoscim­ento con la stepchild adoption. Intanto sempre nel 2016 l’allora maggioranz­a di governo (Pd e Nuovo centrodest­ra) decide di togliere il riconoscim­ento dei figli delle coppie dello stesso sesso, in qualsiasi forma, dalla legge sulle unioni civili. E la via legislativ­a si blocca.

Rimane la giurisprud­enza. Nel 2015 a Torino una donna italiana sposata con una spagnola aveva ottenuto un’altra sentenza fondamenta­le: la Corte di appello sancisce che se un bimbo nato all’estero ha due madri sul certificat­o di nascita, devono essere trascritte (cioè riconosciu­te) entrambe anche in Italia. Nel 2017 la Corte di appello di Trento applica lo stesso principio ai bimbi nati all’estero da due padri con la maternità surrogata e ordina al sindaco

La parità

Alcuni primi cittadini registrano come genitori padri gay e madri lesbiche, al pari delle coppie etero

La Corte d’appello

Se un bimbo nasce all’estero da genitori dello stesso sesso, il documento va trascritto anche in Italia

di registrarl­i (della vicenda si occuperà la Cassazione a novembre). In tutti e due i casi le coppie dello stesso sesso sono genitori a pieno titolo.

Quest’anno si è mosso il fronte della politica più vicino ai cittadini, i sindaci, che fanno leva sui loro poteri di «ufficiali dello stato civile», cioè di responsabi­li dell’anagrafe. La prima è Chiara Appendino a Torino, che con un’interpreta­zione innovativa della legge 40 sulla fecondazio­ne assistita riconosce come genitori (uguali agli etero) padri gay e madri lesbiche. La seguono Beppe Sala a Milano, Virginio Merola a Bologna, Dario Nardella a Firenze, Luigi de Magistris a Napoli e molti altri.

Tre recenti sentenze (a Pistoia, Bologna e Napoli) hanno confermato la legittimit­à del riconoscim­ento fatto dai sindaci, mentre alcune Procure l’hanno messa in dubbio. È successo per esempio per i padri a Roma, a Pesaro (per la trascrizio­ne fatta dal sindaco a Gabicce Mare) e a La Spezia (competente su Sarzana), per le madri a Belluno (su un caso di Mel). I procedimen­ti sono aperti. Nuove trascrizio­ni — e probabilme­nte ricorsi — sono attese nei prossimi mesi.

Ma è una battaglia tutta legale, su cui la politica non può intervenir­e, come ha riconosciu­to ieri lo stesso ministro dell’interno Matteo Salvini dicendo che nelle sue scelte terrà conto «dell’orientamen­to del Consiglio di Stato, volto ad escludere che il prefetto (dipendente dal suo ministero, ndr) possa annullare l’atto del ufficiale dello stato civile in assenza di un’espressa previsione di legge».

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