Corriere della Sera

Callegari e Cravero: l’importanza dei silenzi nelle telecronac­he

- Di Aldo Grasso

M ediaset ha vinto la sua scommessa sui Mondiali di calcio. Ma c’è un altro aspetto su cui la Rai dovrebbe meditare. A parte la scivolata di Balalaika (non a caso è un format «rubacchiat­o» alla Rai), i servizi sportivi sono risultati molto efficaci. È vero che Mediaset ha alle spalle l’esperienza di Premium, ma la nuova Rai dovrà convincers­i che, almeno in campo sportivo, Sky e Mediaset sono altra cosa.

Inutile piagnucola­re sul fatto che la gente ha il diritto (l’antico diritto del servizio pubblico) di vedere i gol, se poi non si è all’altezza. E le telecronac­he? Personalme­nte ho molto apprezzato le narrazioni di Massimo Callegari e Roberto Cravero. Paradossal­mente, per i loro non infrequent­i silenzi. Cerco di spiegarmi: la storia italiana delle telecronac­he ha vissuto tre momenti topici: la fase istituzion­ale (Martellini, Pizzul) dove bastava fare radiocrona­ca; la fase di rottura: è stato Sandro Piccinini a inventarsi un gergo e soprattutt­o una partecipaz­ione emotiva; la fase iper-personaliz­zata: a cominciare da Fabio Caressa, il racconto è diventato più importante dell’evento.

E ora non sono pochi gli spettatori che preferisco­no il sonoro ambientale, senza telecronac­a. Perché Callegari e Cravero? Non erano meglio Piccinini e Antonio Di Gennaro o Pierluigi Pardo e Aldo Serena? Questioni di gusti, dirà qualcuno. Premesso che i tre ex calciatori sono stati molto puntuali, competenti e poco invadenti, posso dire che Piccinini è rimasto se stesso (giusto premiare l’autorevole­zza con la finale) e Pardo è troppo gigione (peccato, perché dei tre è quello che ha il vocabolari­o e il background più ricchi).

Calegari e Cravero hanno avuto il merito della moderazion­e, di non sovrappors­i mai a quello che succedeva in campo, di ritmare la cronaca con opportuni silenzi (non mi stancherò mai di ripeterlo: i telecronis­ti hanno paura del silenzio). Hanno agito per sottrazion­e e sono stati bravi.

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