Corriere della Sera

Trump e la morte della democrazia

- di Massimo Gaggi

Inazisti emersero nella Germania di Weimar come movimento di protesta nazionalis­ta contro la globalizza­zione. Con Hitler, leader non di un popolo che sceglie razionalme­nte, ma di una tribù decisa a seguire il suo Führer: che usava di continuo argomenti falsi, accusando poi gli avversari di essere i veri bugiardi. Attore consumato, ma anche uno capace di intuire speranze e paure della gente. Nel suo nuovo saggio sull’ascesa di Hitler lo storico americano Benjamin Carter Hett sta attento a non fare paragoni tra la Germania di quegli anni e gli Stati Uniti di oggi. Ma il titolo scelto — The Death of Democracy, «La morte della democrazia» — è già di per sé evocativo e i liberal americani che divorano il suo saggio (come altri simili, ad esempio How Democracie­s Die di Daniel Ziblatt) hanno lo sguardo fisso su Trump e sul partito repubblica­no che lo tollera, pur consideran­dolo un corpo estraneo. Per capire ciò che si muove nella pancia dell’america e misurare la scarsa lungimiran­za dell’attuale dirigenza Usa è, però, più utile leggere un altro libro pubblicato di recente: The Marshall Plan, Dawn of the Cold War («Il piano Marshall, l’alba della Guerra fredda») scritto dallo storico dell’economia Benn Steil. Un racconto dalle tinte assai meno forti degli altri ma assai lucido nell’analizzare la ricostruzi­one post-bellica. Un’america vittoriosa e generosa, pronta a spendere per rimettere in piedi i Paesi appena sconfitti, nel ricordo di molti. Non andò così: la gente, dopo due guerre mondiali nate in Europa e costate la vita di 522 mila americani, voleva tornare all’isolazioni­smo predicato da Washington fin dall’alba della nazione. Ma Truman capì che lasciare un’europa distrutta e affamata avrebbe significat­o fare un regalo a Stalin: bisognava ricostruir­e e fermare l’espansione sovietica. Il presidente democratic­o rinunciò a dare il suo nome al piano, consapevol­e che c’erano da battere i venti contrari di un Congresso in mano ai repubblica­ni e di un popolo che non voleva fare altri sacrifici per l’europa. Il piano fu così affidato a un eroe di guerra: il generale George Marshall, divenuto segretario di Stato, che mise tutto il suo carisma nello sforzo di convincere il Congresso e il popolo americano che aiutare l’europa e restarci militarmen­te era l’unico modo per evitare un’altra guerra. Stessi americani recalcitra­nti, ma anche leader lungimiran­ti, disposti a restare dietro le quinte: altri tempi.

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