Nel «sogno» di Luther King classica, teatro, danza, folk
Gergiev, Marshall, Muti con Macbeth. E i cori sacri
Il 4 aprile 1968 veniva assassinato a Memphis Martin Luther King; cinquant’anni dopo «I have a dream» continua a riecheggiare nel mondo, simbolo dell’anelito alla libertà e quest’anno titolo anche del Ravenna Festival, che con le sue «Vie dell’amicizia» ha fatto della musica uno strumento di incontro e fratellanza e un atto pubblico contro la violenza e l’odio.
Il tema viene sviluppato sia per affinità storico-geografica, affrontando la frastagliata produzione novecentesca statunitense («Nelle vene dell’america»), sia per assonanza spirituale e ideale, toccando le esperienze musicali che in vari modi esprimono una resistenza all’oppressione («Il canto ritrovato della cetra»).
Il tutto attraverso il grande repertorio classico, che come da tradizione domina il cartellone, ma dando sempre più spazio a forme diverse, dal teatro di prosa alla danza, dall’elettronica al folk. Il concerto inaugurale guarda subito oltreoceano con Wayne Marshall a dirigere l’orchestra «di casa», la Cherubini, in Gershwin e Bernstein, di cui ricorre il centenario dalla nascita. America che è Kiss Me, Kate di Cole Porter, presentata dall’opera di North, e In C di Terry Riley, padre del Minimalismo. Ancora Bernstein e la sua Age of Anxiety con la Cherubini diretta da Dennis Russell Davies, e poi la settimana delle 100 chitarre elettriche, un viaggio dal Mississippi alla Fender.
Spettacolare il trittico finale del filone americano, con James Conlon a dirigere l’orchestra Nazionale della Rai in Bernstein e Dvorak e i concerti di Ute Lemper e David Byrne.
«Il canto ritrovato della cetra» parte da Aleppo, la città siriana un tempo felice crocevia di culture e tradizioni: il controtenore Razekfrançois Bitar è accompagnato da violino e qanun, riqq e darbuqa nei canti liturgici e devozionali delle comunità cristiane armene e siriache, tra canti ebraici e le muwashshah, poesie medievali fiorite nella Spagna musulmana. Il coro Graindelavoix accompagna un Vespro in San Vitale intonando antifone della tradizione maronita e greco-bizantina di Cipro. C’è il doppio omaggio a Valentin Silvestrov, ottantenne compositore ucraino definito da Arvo Part «il più interessante di oggi, anche se la maggioranza riuscirà a capirlo solo molto più tardi»: il duo Gazzana, la violinista Natascia e Raffaella al pianoforte, ne accosta un’ampia antologia a Bach e Mozart, l’orchestra e il coro dell’opera Nazionale Ucraina fanno scoprire al pubblico italiano la Cantata n. 4 e i Canti liturgici.
Accompagnate da liuti, oud e percussioni, le voci di Patrizia Bovi, Fadia Tomb El-hage e Françoise Atlan cantano Tre fedi un solo Dio attingendo dalle tradizioni maronita, ebraica sefardita, sufi e del misticismo medievale di santa Ildegarda di Bingen.
Non rientrano nei due filoni ma brillano di luce propria alcune serate-evento: Valery Gergiev dirige l’orchestra del Mariinskij nei Quadri di un’esposizione di Musorgskij e nelle Danze sinfoniche di Rachmaninov, la Cherubini accoglie David Fray, pianista e direttore in due concert bachiani e nel K 491 di Mozart, mentre Riccardo Muti la dirige nella settima sinfonia di Beethoven.
Muti porterà a Ravenna il Macbeth di Verdi che lo vede protagonista a Firenze con le maestranze del Maggio Musicale, a ricordare i cinquant’anni dal suo debutto al festival toscano. Da citare almeno «Bolle and Friends» e il recital di Stefano Bollani.