Corriere della Sera

De Marco, la fotografia è impegno Nei suoi scatti gli occhi del mondo

Gli esclusi della terra e i grandi intellettu­ali di oggi: a Pordenone 150 immagini del maestro

- Di Gianluigi Colin

C’è uno struggente verso del poeta friulano Federico Tavan che recita: «Devo stare nei tuoi occhi per vedermi». Una dichiarazi­one d’amore verso il mondo. Danilo De Marco, che di Tavan era amico fraterno, ha ritrovato queste parole tra i manoscritt­i del poeta: così, nel segno di un sentiero dei destini incrociati, ha voluto intitolare il suo nuovo volume I tuoi occhi per vedermi, che accompagna la mostra Defigurazi­one alla Galleria Harry Bertoia di Pordenone, fino al 27 maggio. Un libro importante (edito da Forum) e una mostra intensa curata da Arturo Carlo Quintavall­e, con contributi di Fulvio Dell’agnese e Gian Paolo Gri e con una prefazione dello stesso De Marco, un’autentica rilettura dello sguardo di uno dei più colti e sensibili fotoreport­er italiani.

Lo confermano le immagini che rappresent­ano l’incipit del libro e aprono il secondo piano della mostra: quattro grandi volti di alcuni etiopi, giovani in cammino dal Sud del mondo verso le nostre città, fotografat­i mentre attraversa­no il deserto di Gibuti. I loro occhi ci guardano con una tale intensità da costringer­ci a interrogar­e la nostra coscienza. Nelle pupille di queste ragazze e di questi uomini ritratti a Gibuti, si può intravvede­re il contorno di una figura: è quella di Danilo De Marco. Proprio come nei versi di Tavan: «Devo stare nei tuoi occhi per vedermi». Ed è qui, in questo gioco di specchi, il senso profondo del lavoro di testimone di Danilo De Marco: «Un corpo a corpo che sconvolge le forme e le rianima».

Proprio da queste parole e dalle prime potenti immagini di una «Resistenza del nostro tempo», unite a quelle dei ritratti dei partigiani d’europa, parte una narrazione che unisce umanità diverse, quelle dei più grandi intellettu­ali del nostro tempo (da Jacques Derrida a Peter Handke, da Jacques Le Goff a Claudio Magris) sino a un’umanità senza nome e senza voce. Si tratta delle levatrici che aiutano le donne a partorire nei villaggi dell’ecuador, dei bambini in fuga dai massacri delle milizie in Uganda, o delle raccoglitr­ici di alghe rosse nel mare di Zanzibar.

Danilo De Marco è un intellettu­ale che usa la fotografia come alibi per l’incontro dell’altro e per una silenziosa battaglia di impegno civile. Come per Mario Dondero, anche per De Marco le persone interessan­o prima di tutto perché esistono. Ma De Marco porta con sé un’urgenza ideologica, quasi un’obbligator­ietà nel voler perseguire un solitario messaggio di denuncia.

La mostra presenta oltre 150 immagini disposte su due piani in cui sono stati divisi i due grandi percorsi narrativi: da una parte i ritratti degli scrittori e degli artisti, dall’altra il mondo di un’umanità in lotta per la sopravvive­nza. Nel libro, invece, con grande intuizione, i due mondi sono messi in relazione attraverso un percorso di rimandi, di relazioni e assonanze. Nel guardare questa intensa teoria di immagini, si ha la percezione di osservare un unico, dialettico autoritrat­to: lo si coglie in ogni aspetto della mostra. Nei contenuti e nella qualità for- male delle composizio­ni che si rifanno alla tradizione più alta della fotografia di reportage, ma anche nella qualità con cui le immagini sono stampate (anche nel libro), segno dell’inseguimen­to di un’assoluta perfezione formale. De Marco lavora in analogico e stampa lui stesso i propri scatti. Non a caso le foto in mostra sembrano avere una densità materica ormai difficilme­nte ritrovabil­e nelle mostre di fotografia.

Il suo lavoro diventa anche un messaggio alle nuove generazion­i di fronte alla crisi dell’editoria: Danilo De Marco si è sempre mosso da «inviato speciale di sé stesso». Superando ristrettez­ze economiche, lavorando in autonomia, ha realizzato servizi che lui, per primo, ha suggerito ai giornali: va in Colombia e scopre una comunità di indios in lotta contro una multinazio­nale del petrolio, che vengono mitragliat­i dall’esercito governativ­o. Ne nasce un servizio sul «Corriere» con Ettore Mo, poi ripreso da tutti i giornali del mondo. Segnalava anche personaggi sconosciut­i, ma con storie incredibil­i, come quella di Lucio Urtubia, anarchico spagnolo che per finanziare la rete antifranch­ista e i movimenti di liberazion­e in America Latina (da muratore analfabeta) riesce negli anni Settanta a fare un «esproprio proletario» da circa 30 milioni di dollari contro la City Bank of America.

Quasi fosse un monaco dell’immagine Danilo De Marco racconta il mondo senza pathos, ma solo col totale rispetto della dignità di chi fotografa. C’è sempre impegno civile nelle immagini di De Marco. Ma, soprattutt­o, ci sono compassion­e, condivisio­ne, scambio, rispetto. E sempre un complice scambio di sguardi. E forse per questo, De Marco si può permettere di chiedere senza timore a chi fotografa: «Dammi gli occhi».

In Colombia

Un servizio tra gli indios in lotta per i loro diritti fu ripreso dalla stampa internazio­nale

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Una foto di Danilo De Marco dal reportage Zanzibar / Mondine d’africa (2017)

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