Corriere della Sera

Quei tre miliardi (e più) di battiti che una notte ho contato nel cuore

Luigi Chiariello e Willy Pasini raccontano per Sperling & Kupfer il muscolo della vita

- Di Raffaele La Capria

Col cuore non si scherza. Un giorno il mio si intasò e per un attimo smise di lavorare. Un attimo solo, il primo della sua esistenza instancabi­le. Infarto. Che strana parola, appartiene ai vocaboli che la scienza impresta al linguaggio comune, e che poi resta tra la gente e rinuncia per sempre alle sue origini nobili.

Mi toccò la trafila dell’ammalato, il ricovero, l’intervento per il bypass, infine il ritorno alla vita precedente. Una volta terminata la degenza, quando mi rimisi in piedi, chiesi al dottore: «Perché il cuore è l’unico muscolo che si muove da solo?». Sono passati un bel po’ di anni, ma ricordo che per facilitarm­i la comprensio­ne del fenomeno mi disse che ci sono in pratica due poli, quello negativo e quello positivo. Ma la storia dei due poli era in fondo soltanto un’astrazione parziale.

Tra quei due poli c’è un prodigio che quasi non si spiega, c’è la vita. Una scintilla che scocca e che crea migliaia di giorni che si susseguono, addirittur­a la nostra autocoscie­nza. Tutto a causa di un battito. Uno, cento, mille battiti. Ininterrot­ti, quieti, disciplina­ti. Una notte ho contato i miei. Una notte in cui per cercarmi il sonno ho preferito il calcolo delle pulsazioni al calcolo delle pecorelle. Così ho rilevato i battiti di un minuto del mio cuore. Niente da dire, settanta. Una quota della quale gli ero davvero grato.

Dopodiché ho moltiplica­to quel minuto per un giorno, per un anno, per una vita, per tutta l’esistenza che avevo avuto a mia disposizio­ne fino a quel momento. E la mia piccola calcolatri­ce mi diceva seriamente che il totale di un anno superava i trentasei milioni! Quello dei miei anni superava i tre miliardi. Sembra un numero di quelli che è possibile attribuire solo alle stelle presenti nello spazio, e invece riguardava me, il mio corpo, il ritmo della mia stessa vita.

È meraviglio­so che a quel battito meccanico abbiamo attribuito significat­i straordina­ri. Mi chiedo a volte se il cuore sia costruito per assumersi ognuna delle responsabi­lità che gli diamo. Se ha davvero voglia di sopportare tutte le pressioni a cui lo sottoponia­mo. San Gregorio di Nissa dice che «solo lo stupore conosce». Lui lega alla ragione la sua idea di stupore, io invece lo stupore della conoscenza lo lego al cuore, ai mille casi della vita, all’emozione dell’esperienza e dell’imprevedib­ile. Il cuore è ritmo, dunque il cuore è musica. È musica pura che amplifica la nostra percezione e che raffina la nostra lettura del mondo. Diciamo a volte che un’idea «ha il suono della verità», e diciamo anche che qualcos’altro «suona falso». Si potrebbe dire che il cuore è il muscolo della conoscenza.

La memoria del cuore mi porta a quando ero bambino. Mia madre giocava con me a rimpiattin­o. La vedevo, era presente di fronte a me, ma d’improvviso spariva, nascosta dietro una tenda. «Non c’è più», diceva appena smettevo di vederla. Sapevo che sarebbe riapparsa, ma intanto il cuore mi batteva. Stavo realizzand­o l’esperienza della presenza e dell’assenza, il mistero dell’apparire e dello sparire. «Eccola!» esclamava quando si mostrava di nuovo. E io battevo le mani e le chiedevo di rifarlo, di rifarlo ancora e ancora. Quel ritmo del cuore che saliva, che cresceva, ha conservato il ricordo di sé. Oggi mi basta pensarci per ritrovare il sapore di quell’emozione primaria.

È un elemento, il cuore. Il reparto di un’officina che lavora incessante, assidua. Al fianco di altri elementi, in continua armonia con ciascuno. Fegato, polmoni, stomaco, pancreas. Tutto deve appartener­e a un’orchestraz­ione perfetta, al di là della mia volontà. Ho un corpo che funziona solo se l’officina è regolarmen­te al lavoro. Spesso ho provato quell’elementare attrazione nei confronti di una donna, di una figura femminile. E altrettant­o spesso l’officina del mio corpo ha deciso per me, prima che ci riuscisse la mia coscienza ha percepito se quell’attrazione sarei stato in grado di viverla coi sensi, di tradurla in energia del corpo. Non è detto che il passaggio avvenga, poiché il cuore decide per noi. A volte ho creduto con la mente che una donna potesse attrarmi, sono anche stato certo di amarla, ma il mio corpo si è sottratto, negato, ed è poi giunto a spiegarmi che in realtà nulla scattava in me.

La facoltà della conoscenza, la facoltà delle emozioni, è quella che dirige l’officina del corpo. «Imagine all the people»: questa sua canzone, John Lennon può averla pensata e scritta solo col cuore. Abbiamo nel petto un muscolo che pulsa e che pompa emozioni. L’esistenza si affronta col cuore. È questo il prodigio dell’universo, è lì dentro la formula misteriosa che spiega la vita.

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Window to the Heart, installazi­one a Times Square, New York, per San Valentino (Afp)
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