Lo sbarco nel 2017 poi la vita alla Centrale Uno era stato fermato e liberato dopo 24 ore
L’arresto 7 giorni fa, aspettava l’udienza
I caffè, le brioche e gli sbadigli dei killer. Non avevano addosso le conseguenze di droghe e alcolici, ieri mattina alle dieci quando i carabinieri li hanno trovati ai tavolini all’aperto del Mcdonald’s di piazza Duca d’aosta, entrambi con giubbotto e cappuccio, uno di colore nero l’altro bianco, casomai venisse a piovere; i due marocchini erano soltanto sotto l’effetto della stanchezza. Facevano colazione con i soldi rubati alle vittime. Non quelli del ragazzo ammazzato: nelle tasche di Samsul non c’erano altro che le buste paga. Aveva paura come tutti a rincasare a quell’ora, in quella zona. E poi il denaro doveva stare al sicuro vicino al letto, destinato alla moglie in Bangladesh.
L’incrocio tra due antitetiche tipologie di immigrati non è una storia dentro una storia maggiore. Perché non è l’esistenza di Samsul — sgobbava e risparmiava, era venuto qui per questo — che adesso racconta Milano. Sono loro, le belve, a diventare simbolici. Quasi dei «portavoce». Per quello che han fatto giovedì, ieri e in generale dal momento degli sbarchi (giugno 2017 a Reggio Calabria, dicembre 2017 a Pozzallo). I marocchini non sapevano d’aver ucciso, altrimenti sarebbero scappati. Forse. Sapevano però d’avere soldi e cellulari. In Centrale i controlli sono insistiti, sarebbero potuti capitare dentro qualche retata. Pazienza. Uno dei due, sabato e non un secolo fa, l’avevano braccato per tentato furto. Arresto, burocrazia (le impronte, il fotosegnalamento, la modulistica) e l’indomani il processo per direttissima, la convalida, la libertà, l’attesa dell’udienza e in futuro chissà. Dicono poliziotti e carabinieri, quelli che stanno in strada, che così è come svuotare il mare con un cucchiaio. Certo bisogna elogiare l’indagine esemplare dei Nuclei radiomobile e investigativo dell’arma, pur dinanzi ad alti ostacoli — la scena del crimine in via Settembrini non presentava traccia alcuna — ma nel contempo, ed è una voce comune raccolta fra quegli stessi uomini, storiche carenze d’organico del pronto intervento sono inconciliabili con le esigenze della città. La risposta a una domanda, ovvero quanti altri potenziali Anass e Otmani siano in circolazione, suonerebbe identica forse più nei quartieri centrali che periferici. Sono tanti. Prima di avvistarli a quei tavolini, i carabinieri hanno esaminato altri quarantacinque nordafricani negli immediati paraggi. Tutti quanti bivaccavano.
Ieri i killer sono rimasti a lungo nei corridoi della caserma. In attesa della galera. Avevano delle tute dei carabinieri. Dormivano appoggiati al muro. Non parlano l’italiano, ma chi conosce i segnali del corpo giura che non c’è mai stata minima tensione al pentimento. Indossavano le tute in quanto sono stati spogliati dai vestiti usati per il confronto con i racconti dei testimoni (nitidi) e i filmati delle telecamere (parziali). Due degli elementi che hanno permesso l’individuazione, insieme ai telefoni depredati. L’attività tecnica ha consentito la localizzazione degli apparecchi. L’esperienza dei carabinieri del comandante provinciale Luca De Marchis è stata decisiva. Non era una caccia scontata. Il Nucleo investigativo del tenente colonnello Michele Miulli ha corso contro il tempo. Il timore che ci potessero essere altri passanti feriti e uccisi per una rapina non era uno scrupolo investigativo ma un timore fondato. Un timore che forse non finisce con la fine di Anass e Otmani.
Presi al fast food
Gli inquirenti li hanno localizzati grazie al segnale dei cellulari che avevano rubato