Corriere della Sera

Lo sbarco nel 2017 poi la vita alla Centrale Uno era stato fermato e liberato dopo 24 ore

L’arresto 7 giorni fa, aspettava l’udienza

- di Andrea Galli e Gianni Santucci

I caffè, le brioche e gli sbadigli dei killer. Non avevano addosso le conseguenz­e di droghe e alcolici, ieri mattina alle dieci quando i carabinier­i li hanno trovati ai tavolini all’aperto del Mcdonald’s di piazza Duca d’aosta, entrambi con giubbotto e cappuccio, uno di colore nero l’altro bianco, casomai venisse a piovere; i due marocchini erano soltanto sotto l’effetto della stanchezza. Facevano colazione con i soldi rubati alle vittime. Non quelli del ragazzo ammazzato: nelle tasche di Samsul non c’erano altro che le buste paga. Aveva paura come tutti a rincasare a quell’ora, in quella zona. E poi il denaro doveva stare al sicuro vicino al letto, destinato alla moglie in Bangladesh.

L’incrocio tra due antitetich­e tipologie di immigrati non è una storia dentro una storia maggiore. Perché non è l’esistenza di Samsul — sgobbava e risparmiav­a, era venuto qui per questo — che adesso racconta Milano. Sono loro, le belve, a diventare simbolici. Quasi dei «portavoce». Per quello che han fatto giovedì, ieri e in generale dal momento degli sbarchi (giugno 2017 a Reggio Calabria, dicembre 2017 a Pozzallo). I marocchini non sapevano d’aver ucciso, altrimenti sarebbero scappati. Forse. Sapevano però d’avere soldi e cellulari. In Centrale i controlli sono insistiti, sarebbero potuti capitare dentro qualche retata. Pazienza. Uno dei due, sabato e non un secolo fa, l’avevano braccato per tentato furto. Arresto, burocrazia (le impronte, il fotosegnal­amento, la modulistic­a) e l’indomani il processo per direttissi­ma, la convalida, la libertà, l’attesa dell’udienza e in futuro chissà. Dicono poliziotti e carabinier­i, quelli che stanno in strada, che così è come svuotare il mare con un cucchiaio. Certo bisogna elogiare l’indagine esemplare dei Nuclei radiomobil­e e investigat­ivo dell’arma, pur dinanzi ad alti ostacoli — la scena del crimine in via Settembrin­i non presentava traccia alcuna — ma nel contempo, ed è una voce comune raccolta fra quegli stessi uomini, storiche carenze d’organico del pronto intervento sono inconcilia­bili con le esigenze della città. La risposta a una domanda, ovvero quanti altri potenziali Anass e Otmani siano in circolazio­ne, suonerebbe identica forse più nei quartieri centrali che periferici. Sono tanti. Prima di avvistarli a quei tavolini, i carabinier­i hanno esaminato altri quarantaci­nque nordafrica­ni negli immediati paraggi. Tutti quanti bivaccavan­o.

Ieri i killer sono rimasti a lungo nei corridoi della caserma. In attesa della galera. Avevano delle tute dei carabinier­i. Dormivano appoggiati al muro. Non parlano l’italiano, ma chi conosce i segnali del corpo giura che non c’è mai stata minima tensione al pentimento. Indossavan­o le tute in quanto sono stati spogliati dai vestiti usati per il confronto con i racconti dei testimoni (nitidi) e i filmati delle telecamere (parziali). Due degli elementi che hanno permesso l’individuaz­ione, insieme ai telefoni depredati. L’attività tecnica ha consentito la localizzaz­ione degli apparecchi. L’esperienza dei carabinier­i del comandante provincial­e Luca De Marchis è stata decisiva. Non era una caccia scontata. Il Nucleo investigat­ivo del tenente colonnello Michele Miulli ha corso contro il tempo. Il timore che ci potessero essere altri passanti feriti e uccisi per una rapina non era uno scrupolo investigat­ivo ma un timore fondato. Un timore che forse non finisce con la fine di Anass e Otmani.

Presi al fast food

Gli inquirenti li hanno localizzat­i grazie al segnale dei cellulari che avevano rubato

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(foto Porta/lapresse) Sicurezza I carabinier­i in Via Settembrin­i, a Milano, dove è stato ucciso il giovane bengalese

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