«Apro la mia penthouse , con tutte le passioni»
Libeskind: «A Milano ho cresciuto i miei figli. Ora la aiuto a trasformarsi»
Il sole invade gli spazi e modella i giochi di luce e ombra, dando vita a quei contrasti che molto ama l’architetto Daniel Libeskind. Siamo a Citylife, nell’area residenziale milanese da lui progettata. E dal living della sua penthouse lo sguardo, attraverso le ampie vetrate, abbraccia il tessuto urbano sviluppatosi nel Novecento tra le piazze Giulio Cesare e Amendola. «Per me questa casa è un rifugio dove mi piace trascorrere le ore sfogliando i miei libri d’arte e ascoltando musica». Ovunque arredi di design e di oggetti d’affezione: «Ho acquistato qui in Italia la scultura indonesiana del Teatro d’ombre, mi
d
La terza torre sarà pronta entro due anni e sarà un omaggio a uno dei simboli di questa città, cioè la Pietà Rondanini
piace anche perché rappresenta la lotta fra forze opposte». Una contrapposizione che applica spesso nella sua ricerca espressiva. «A Milano sono cresciuti i miei tre figli negli anni Ottanta — dice l’architetto polacco-statunitense —, qui ho lavorato molto e continuo a lavorare».
Nella metropoli lombarda vive ora solo per qualche settimana l’anno, tra un viaggio e l’altro — è a Manhattan che risiede stabilmente —, ma questo basta a perpetuare un rapporto felice. «Milano ha cambiato volto. Citylife l’ha aiutata a calarsi in una nuova dimensione». Si intuisce quanto lui, da sempre volto al culto della memoria dei luoghi dove sviluppa la sua progettualità, sia sensibile alla cifra di questi palazzi che si rincorrono sotto i suoi occhi, improntati tanto allo stile eclettico primonovecentesco quanto al neoclassicismo di Gio Ponti ed Emilio Lancia, fino al razionalismo di metà secolo. «Il senso della memoria si ripercuote anche sul mio stesso lavoro, come testimoniano le incisioni applicate sul cristallo delle scale interne, che sono la trasposizione di miei disegni progettuali e si pongono a simbolo di quanto ho realizzato nel tempo».
Il disegno, a ben vedere, è quella fase fondamentale del processo creativo che Libeskind definisce «matrice dell’idea stessa di architettura». Così è nata l’idea della mostra «Collezione Ramo. La città moderna a Casa Libeskind», aperta nel suo appartamento nei giorni del Salone del Mobile (visite su prenotazione) con una quindicina di disegni di proprietà del collezionista Giuseppe Rabolini. Il connubio tra opere dedicate al tema futurista e visionario della città — firmate da Boccioni, Sant’elia, Russolo, Depero, Sironi, Afro — e l’interior che le ospita — connotato dal segno di linee frante e intersecate, pulsanti di energia (che ricordano altre opere di Libeskind come
il Museo Ebraico di Berlino o Casa Felix Nussbaum) — risulta particolarmente efficace. A quando la terza torre che andrà ad affiancarsi per mano sua a quelle già esistenti di Arata Isozaki e Zaha Hadid? L’architetto sorride: «Tutto procede bene, sarà pronta in due anni. È un omaggio a Milano e alla Pietà Rondanini. La curva della schiena della Vergine è molto simile all’arco del mio grattacielo. Ho la sensazione che qualcosa mi abbia quasi costretto prima a disegnare la forma e poi a cercarla, fino a trovarla nella scultura di Michelangelo».