Corriere della Sera

«Il Paese non può fermarsi Le elezioni saranno utili, gli italiani lo dimostrera­nno»

MARCO MINNITI Il ministro: fondamenta­le inviare subito i soldati in Niger

- di Fiorenza Sarzanini fsarzanini@corriere.it

«I n un mondo che corre veloce l’Italia non può fermarsi. L’idea che le prossime elezioni possano essere inutili o usate per tastare il polso al Paese è pericolosa e sarà bocciata dagli italiani». Il ministro dell’Interno Marco Minniti traccia il bilancio del suo dicastero, ma guarda soprattutt­o alle prossime sfide. E avverte: «Lasciamo un Paese migliore di quello che abbiamo trovato. Rivendichi­amo un lavoro straordina­rio, sapendo che non è sufficient­e per vincere. Per questo andremo avanti sulla strada della stabilità e delle riforme. È la carta che ci pone avanti a tutti gli altri».

Teme l’astensioni­smo?

«Da responsabi­le dell’Interno garantirò un confronto aperto e vero, anche aspro, ma che vada nella direzione di massima partecipaz­ione. Da politico voglio dire che l’obiettivo è quello di una vera innovazion­e come abbiamo fatto su tante questioni fondamenta­li».

Comprese immigrazio­ne e sicurezza?

«Lo dice lei. Tuttavia non bisogna mollare la presa, la sfida è continua».

Avete deciso di inviare i soldati in Niger. È davvero necessario?

«Prima di rispondere vorrei ricordare come stavamo appena sette mesi fa, quando abbiamo dovuto fare fronte all’arrivo di oltre 10.000 stranieri in 36 ore e tutti gli Stati europei confermava­no la chiusura dei loro porti».

Nel Mediterran­eo c’erano le navi delle Organizzaz­ioni non governativ­e.

«E ci sono ancora: esattament­e sette su otto, con l’eccezione di Medici senza frontiere, unica a non sottoscriv­ere il codice. Una scelta che rispetto, ma ora la situazione è completame­nte cambiata, è obiettivam­ente senza precedenti».

Si riferisce al crollo degli sbarchi?

«Certo, ma soprattutt­o alla diminuzion­e dei morti in mare riconosciu­ta dalle organizzaz­ioni internazio­nali. Non sono soddisfatt­o, fino a che ci sarà anche una sola vittima noi continuere­mo a lavorare, però rivendico che nessuno prima di noi era riuscito a raggiunger­e un simile risultato. E quando dico noi penso al nostro Paese. È una vittoria dell’Italia che ormai tutti ci riconoscon­o. Siamo riusciti a governare i flussi perché siamo stati i primi a credere che un accordo con la Libia rappresent­asse una svolta. E abbiamo avuto ragione. Quando abbiamo firmato l’accordo con Sarraj ci hanno accusato di essere scesi a patti con un signor nessuno».

Era febbraio scorso. Non era così?

«No, e infatti il giorno dopo l’Unione Europea ha fatto propria quell’intesa e i nostri partner — Francia e Germania in testa — hanno positivame­nte collaborat­o con noi. Abbiamo messo in campo un modello e dobbiamo esserne fieri perché siamo andati avanti da soli costringen­do anche i Paesi più scettici a partecipar­e e ora siamo in prima linea. Ci siamo impegnati a togliere dalle mani dei trafficant­i le chiavi delle democrazie europee. Combattere e sconfigger­e l’illegalità aprendo a una gestione legale dei flussi».

Alcuni leader politici — da Emma Bonino a Massimo D’Alema — vi accusano di aver ceduto sul rispetto dei diritti umani.

«Non faccio polemiche, mi aspetto una valutazion­e più attenta e oggettiva. Abbiamo portato in Libia l’Unhcr e l’Oim. Aver aperto per la prima volta un corridoio umanitario tra la Libia e l’Italia costituisc­e un gigantesco passo in avanti. Coloro che scappano dalla guerra non arriverann­o con i gommoni degli scafisti, ma con gli aerei degli Stati democratic­i in cooperazio­ne con le organizzaz­ioni umanitarie. E con la straordina­ria disponibil­ità della Conferenza episcopale italiana. Se avessimo aspettato l’Europa, come chiedeva qualcuno, non avremmo avuto alcun risultato concreto e avremmo ceduto ai populisti. Vorrei ricordare il clima di quest’estate: l’Austria minacciava di schierare i carri armati e bloccare la frontiera del Brennero con danni gravissimi per la nostra economia».

Per la missione in Niger non sarebbe opportuno attendere il dopo voto?

«Ci sono decisioni che devono essere prese tempestiva­mente e l’invio dei militari in quell’area è prioritari­a. Tuttavia, pur a Camere sciolte ci sarà un percorso condiviso con il Parlamento. Per noi è strategico contribuir­e al controllo di quelle frontiere. E poi c’è un’emergenza legata alla sicurezza».

Che vuol dire?

«Quell’area può diventare il luogo dove ricostruir­e una base fondamenta­lista, un passaggio cruciale per i terroristi diretti in Europa».

La sconfitta dell’Isis in alcune aree mediorient­ali aumenta il rischio per l’Occidente?

«Noi teniamo la guardia alta e lavoriamo per un controllo straordina­rio del territorio senza militarizz­azione, garantendo la vivibilità dei luoghi. L’Italia non può permetters­i di abdicare alla sua caratteris­tica di valorizzaz­ione del proprio patrimonio. Quest’anno abbiamo avuto un boom di presenze e contiamo nel 2018 di avere risultati ancora migliori. Non sottovalut­iamo alcun rischio».

Crede ancora alle espulsioni preventive come deterrente?

«Credo siano fondamenta­li, altri stanno seguendo il nostro esempio».

A dicembre lei è stato in Giordania e in Egitto. Può garantire la loro collaboraz­ione nella lotta al terrorismo?

«Posso garantire che siamo protagonis­ti di un processo di stabilizza­zione. In questi colloqui rientrano anche le due visite del generale Haftar a Roma. Abbiamo rapporti di cooperazio­ne che hanno già dato risultati concreti, in particolar­e al Cairo».

Si riferisce all’assassinio di Giulio Regeni?

«Quando abbiamo deciso di inviare nuovamente il nostro ambasciato­re ci hanno accusato di aver abdicato alla nostra posizione. Invece gli avvocati della famiglia hanno ottenuto il riconoscim­ento di parte civile nel processo e la consegna degli atti. E i magistrati romani guidati dal procurator­e Giuseppe Pignatone hanno potuto consegnare ai colleghi egiziani l’informativ­a delle nostre forze di polizia sull’omicidio di Giulio. Non è usuale che ciò accada ed è importante che le due Procure abbiano deciso di lavorare insieme su quella informativ­a. Non diamo retta alle chiacchier­e, noi continuere­mo a percorrere questa strada e arriveremo alla verità».

In Puglia e in Campania c’è una nuova emergenza criminale?

«Vorrei un Paese dove fosse cancellata la parola emergenza e ciò non significa che non abbiamo avuto di fronte episodi molto gravi. In Campania è stata importante la risposta della società civile e quella dello Stato con l’individuaz­ione di uno degli aggressori, drammatica­mente giovanissi­mi. Aspetto la ricostruzi­one della vicenda pugliese, in ogni caso è inaccettab­ile che una persona ignara possa perdere la vita perché sta soltanto camminando per strada. La risposta sarà durissima nei confronti dei responsabi­li. Così come abbiamo fatto dovunque ci sono state rotture di legalità».

La situazione degli sbarchi è completame­nte cambiata. La diminuzion­e dei morti in mare è riconosciu­ta dalle organizzaz­ioni internazio­nali, ma finché ci sarà anche una sola vittima noi continuere­mo a lavorare

Per noi è strategico contribuir­e al controllo delle frontiere del Niger Quell’area può diventare il luogo dove ricostruir­e una base fondamenta­lista, un passaggio cruciale per i terroristi diretti in Europa

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