La trappola mortale nell’hotel I troppi silenzi degli indagati
Quei ventinove morti di Rigopiano? Boh, colpa della valanga, forse, ma nessuno poteva prevedere che venisse giù. È agghiacciante la versione degli indagati quasi un anno dopo quel 18 gennaio in cui quaranta ospiti del resort di Farindola rimasero intrappolati e senza soccorsi fino all’alba del giorno successivo. Ancora divisa equamente tra chi tace e chi scarica le responsabilità sugli altri.
Nessuno, durante gli interrogatori, ha ammesso di sentirsi sulla coscienza il peso di ciò che accadde. L’allarme valanghe, che era stato regolarmente lanciato, non fece scattare le più banali norme di protezione civile a tutela dei clienti e dei lavoratori dell’albergo.
Nessuno si preoccupò di verificare lo stato delle turbine spazzaneve (una delle quali era ferma in manutenzione). Nessuno ne chiese per tempo una all’Anas. Nessuno ordinò, come per le scuole, l’evacuazione dell’Hotel. Nessuno decise di rinunciare agli introiti e chiudere la struttura che, per altro, era stata costruita in un vallone a rischio slavine e ampliata abusivamente. Nessuno di quelli chiamati a coordinare i soccorsi riuscì a governare il caos. Per non parlare di chi tagliò i fondi alla stesura della carta valanghe, e chi concesse di trasformare un rifugio un resort.
L’inchiesta della procura di Pescara per omicidio colposo, grazie al lavoro approfondito dei carabinieri forestali, ha inchiodato ciascuno a responsabilità specifiche. Tuttavia la tornata appena conclusa degli interrogatori non ha registrato lo sfogo di chi avverte su di sé il peso di quelle vittime. E nemmeno colpi di scena. Se si esclude la dimostrazione che una riunione di coordinamento ci fu prima della bufera di neve, cui si aggiunse il 18 la scossa di terremoto (che non influì). Ma si discusse solo di caselli autostradali: se chiuderli o no. Sullo stato delle uniche due turbine in servizio (una in manutenzione) nessuno si interrogò.
Di fronte ai pm, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere dal sindaco di Farindola Ilario Lacchetta a Ida De Cesaris la viceprefetto che non credette subito alle grida di aiuto di Quintino Marcella. Il resto è tutto un rimpallo.
Se la prende con la Regione Abruzzo il proprietario dell’hotel, Paolo Del Rosso, perché non c’era la carta valanghe. I dirigenti della Regione scaricano sulla Giunta che non stanziò i fondi. Il prefetto sui tecnici. Ma quelle ventinove salme attendono un perché.