Corriere della Sera

«Basta appelli all’unità»

L’ex premier: basta appelli all’unità, ma cerchiamo di rispettarc­i in campagna elettorale

- Di Aldo Cazzullo

Impossibil­e l’alleanza con il Pd di Renzi. Ma non passiamo la campagna elettorale a farci la guerra» dice Massimo D’Alema al Corriere. «Con la nuova legge elettorale si sono infilati nella trappola che avevano preparato per noi».

D’Alema, è proprio impossibil­e l’alleanza con il Pd?

«Sarebbe stata necessaria una svolta radicale di grande impatto sull’opinione pubblica. Non modeste misure di aggiustame­nto, che ci hanno proposto a parole mentre ce le negavano nei fatti in Parlamento. Un negoziato surreale».

Affidato a Fassino, che lei conosce da una vita.

«Mi stupisco che una persona seria come Piero si sia prestata a un’operazione priva di senso. Non è con questi pannicelli caldi che si ricostruis­ce l’unità del centrosini­stra. Ci vuole una temperatur­a, come per saldare metalli spezzati».

Ma così vi presentate divisi contro il centrodest­ra unito e contro Grillo.

«Questa è una sciocchezz­a fatta scrivere ad arte ai giornali. Non è vero che il centrosini­stra perde perché è diviso. Il Pd si è separato da una parte del suo popolo, e non c’è nessuna coalizione che possa porvi rimedio. Il centrosini­stra unito ha perso ovunque. Io stesso sono stato a Genova a fare campagna per il candidato del Pd. Mi rispondeva­no: “È un bravo compagno, ma non possiamo votarlo; perché così voteremmo per Renzi”».

Ecco il vero problema: Renzi.

«No. Sono le scelte politiche del Pd a guida renziana. Questa storia del rancore personale

è un’altra sciocchezz­a. Io ho lavorato fianco a fianco con persone che mi stavano antipatich­e. Non si può dividere la sinistra per questioni personali. Se noi abbiamo deciso di dar vita a una nuova esperienza politica, ci sono ragioni profonde. Abbiamo un’idea del tutto diversa del Paese, del partito, della democrazia».

E se dopo le elezioni Renzi si facesse da parte, il dialogo potrebbe ricomincia­re?

«Non dipende solo dal leader, per quanto il Pd si stia caratteriz­zando come partito personale; dipende dalle politiche. Evitiamo che la campagna elettorale sia dominata da una polemica tra di noi. Finiamola con questo tormentone, questo assillo dell’appello unitario; perché così si creano le premesse per le recriminaz­ioni successive. Se noi avremo dei voti, non saranno tolti al Pd, ma recuperati all’astensioni­smo. Smettiamol­a con queste sciocchezz­e che fanno soltanto del male, e cerchiamo di rispettarc­i. Non siamo dei matti, vogliamo riaprire una prospettiv­a di governo del Paese, ricostruir­e un centrosini­stra autentico. Se avremo una forza consistent­e, costringer­emo il Pd a dialogare con noi. E daremo maggior forza a quelli che dentro quel partito dicono che bisogna cambiare strada. Ce ne sono tanti».

Non è possibile neppure una desistenza nei collegi uninominal­i, come tra Ulivo e Rifondazio­ne nel 1996?

«Noi avevamo fatto una proposta di buon senso: introdurre il voto disgiunto. Un conto è votare una persona nei collegi, un altro è votare una lista nel proporzion­ale. Ci hanno chiuso la porta in faccia. Hanno risposto di no con arroganza e cecità politica, ponendo la fiducia sulla nuova legge elettorale».

Di cui lei è grande estimatore.

«È una legge mostruosa, pasticciat­a, confusa. Il Pd l’ha voluta pensando che il voto utile ci avrebbe schiacciat­o; poi in Sicilia hanno visto che il voto utile schiaccia loro. Sono rimasti imprigiona­ti nella trappola che avevano preparato per noi. Mi chiedo che gruppo dirigente sia questo: dovrebbero essere gli eredi, oltre che di nobili tradizioni, di una certa profession­alità politica. Ma se il bipolarism­o diventa tra 5 Stelle e centrodest­ra, la cui riunificaz­ione è stata favorita da questa legge scritta dal Pd sotto dettatura di Forza Italia, allora chi non vuole Berlusconi voterà Grillo, e chi non vuole Grillo voterà Berlusconi».

Lei chi scegliereb­be?

«Io voterò per la nostra lista. Non partecipo a questo gioco di società. È inutile fingere che le prossime elezioni siano una sfida finale per il governo: tutti sanno che non ci sarà una maggioranz­a in grado di governare da sola».

A maggior ragione avrebbe senso riunire il centrosini­stra, per dargli maggior forza.

«Perché dobbiamo entrare in una dinamica suicida? I nostri elettori reali e potenziali non ci seguirebbe­ro. Non è che, se ci alleiamo con il Pd, quelli che votano per noi votano per il Pd; chi lo pensa vive sulla luna; quelli che votano per noi sono in forte dissenso con il Pd. Quando un partito piccolo si allea con un partito grande, agli occhi degli elettori ne condivide l’ispirazion­e e ne accetta la leadership. Se una coalizione di questo genere dovesse vincere le elezioni, cosa altamente improbabil­e, sarebbe naturale che il capo dello Stato desse l’incarico al leader del partito principale. Da cui però ci divide tutto: la politica economica, estera, istituzion­ale. Anche il populismo».

Renzi è populista?

«A intermitte­nza, come ha scritto Stefano Folli. Promettere meno tasse per tutti e nel contempo più investimen­ti: questo è il populismo».

Vede che il problema è lui?

«Prima della scissione disse che gli dispiaceva, ma sul piano elettorale eravamo irrilevant­i. Se siamo irrilevant­i, non vedo perché dobbiamo essere tormentati in questo modo, come se dipendesse da noi il futuro dell’umanità».

Con Fassino almeno vi siete parlati?

«I giornali hanno scritto di una telefonata di 47 minuti. È durata 4 minuti e mezzo. Ho detto a Piero la verità: non decido io, parla con Speranza. Capisco che scrivere la verità sarebbe stato deludente. Occorreva evocare la presenza del cattivo».

Lei non sarà cattivo, ma Mdp dà l’idea di un’operazione di ceto politico.

«Fassino e Martina da dove vengono? E Renzi? Questa nostra fase costituent­e è caratteriz­zata da un’enorme partecipaz­ione della società civile, del cattolices­imo popolare. Le nostre liste saranno le più aperte. La fondazione Italianieu­ropei ha collaborat­o all’organizzaz­ione di due convegni con l’Associazio­ne Elpis e la Romana di Studi e Solidariet­à, vicine al mondo dei gesuiti e a quello dell’Opus Dei, per parlare di disuguagli­anze e migranti. Questi sono gli interlocut­ori, questi i temi».

E il leader chi sarà?

«Lo decideremo al momento opportuno».

Lei chi vorrebbe? Grasso?

«Attendo disciplina­tamente. Se il presidente del Senato decidesse di impegnarsi, sarebbe un valore aggiunto straordina­rio. È una delle personalit­à più stimate del Paese».

E Pisapia cosa farà?

«Non lo so. Mi pare un uomo tormentato, incerto. Nelle dichiarazi­oni è stato molto più radicale di me, ha chiesto al Pd netta discontinu­ità di programmi e di leadership. Ora leggo che Campo progressis­ta sta negoziando con il Pd. Mi aspetto siano coerenti. Discontinu­ità è una parola forte, non un elenchino di promesse per la prossima legislatur­a».

Pisapia si batte per l’unità a sinistra.

«Capisco il suo afflato, ma questo progetto unitario non ha nessuna consistenz­a politica né programmat­ica. Sarebbe stato un segnale esaminare seriamente il provvedime­nto sull’articolo 18 che avevamo proposto; c’è una certa schizofren­ia tra il dire e il fare».

L’abolizione dell’articolo 18 l’avete votata anche voi.

«Io non sono in Parlamento. Molti sono usciti proprio per non votarla. Altri l’hanno votata per una logica di disciplina di partito, cui non intendiamo tornare. Quella controrifo­rma ha contribuit­o a umiliare il mondo del lavoro. Se togli la tutela contro i licenziame­nti ingiusti, cambi il rapporto di forza: la conseguenz­a infatti è il dilagare della precarietà. Il mio amico Padoan dice che la priorità sono i giovani...».

Invece?

«Invece abbiamo il record europeo di disoccupaz­ione giovanile. E il record di stagisti che lavorano 12 ore al giorno e guadagnano 300 euro al mese. Il governo ha fatto affluire un fiume di soldi verso imprese e banche, e ora non trova 300 milioni per i pensionati. Ho provato una stretta al cuore nel vedere Renzi alla corte di Macron, mentre la Francia colonizza il nostro sistema economico, scala Telecom, fa incetta di marchi; e appena noi tentiamo una mossa in casa sua, nazionaliz­za i cantieri navali. Io sono un federalist­a europeo convinto, come Ciampi, Prodi e la Bonino. Renzi ha una visione dell’Europa intergover­nativa, rivendicat­iva, da pugni sul tavolo. È all’opposto».

Per il dopo-voto lei ha parlato al «Corriere» di un possibile governo del presidente. Mdp ci sarebbe?

«Quello che stiamo costruendo non sarà più Mdp, sarà qualcosa di significat­ivamente più ampio. La prospettiv­a per il dopo-voto è di una forte centralità del Parlamento. E noi ci saremo».

Su Grasso Il leader lo decideremo al momento opportuno Grasso sarebbe un valore aggiunto straordina­rio

Dopo il voto non ci sarà una maggioranz­a Un governo del presidente? La prospettiv­a è di una forte centralità del Parlamento e noi ci saremo

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