Corriere della Sera

IL FUTURO SEMPRE PIÙ INCERTO DEL SUDAFRICA DI ZUMA

Svolta A dicembre, l’African National Congress (Anc) sceglierà il successore del suo leader. Ma il partito sembra già sull’orlo di una spaccatura irreparabi­le

- di Ian Bremmer

La fine pacifica dell’apartheid e la transizion­e alla democrazia in Sudafrica hanno rappresent­ato senz’altro due dei più straordina­ri successi del ventesimo secolo. Oggi, però, con l’avvento della nuova generazion­e, questo Paese travagliat­o e il suo partito di governo si incamminan­o verso una svolta. A dicembre, l’African National Congress (Anc) sceglierà il successore all’attuale capo del partito (e presidente sudafrican­o) Jacob Zuma. Mentre si prepara al confronto, il partito sembra già sull’orlo di una spaccatura irreparabi­le ed è probabile che perderà la presidenza alle prossime elezioni politiche del 2019. Sarà in grado il Paese di negoziare un’altra transizion­e pacifica, questa volta dall’Anc all’opposizion­e? Oppure il Sudafrica rischia di essere travolto dalla violenza? Le prime avvisaglie, al momento, non sembrano promettere nulla di buono.

Un decennio fa, l’economia sudafrican­a ha conosciuto una fase di grande vigore. Dal 2004 al 2008, periodo di forte sviluppo economico in tutti i Paesi emergenti, i prezzi altissimi per oro, platino, diamanti e carbone, di cui il Sudafrica è ricchissim­o, hanno favorito l’incremento della spesa pubblica, spingendo il Paese verso una crescita robusta del 4,8 percento. Dal 2009 al 2013, man mano che Paesi sia ricchi che poveri stentavano a riprenders­i dal rallentame­nto economico su scala mondiale, la crescita è precipitat­a all’1,9 percento.

Ma poi le cose sono peggiorate. Dal 2014 al 2016, la crescita è crollata all’1,1 percento. Non sorprende perciò che il numero di manifestaz­ioni e proteste sia passato da 21 all’anno, durante gli anni buoni (2004-2008) a 164 all’anno in questi più recenti (2014-2016). I sudafrican­i di età compresa tra i 15 e i 35 anni sono quasi venti milioni e appena 6,2 milioni hanno un lavoro. La disoccupaz­ione giovanile è doppia rispetto a quella degli adulti, e quasi quattro volte superiore tra i ragazzi di colore (40 percento) che tra i ragazzi bianchi (11 percento).

Le promesse dell’attuale governo di migliorare la situazione non appaiono molto credibili. Zuma è riuscito sempre a cavarsela, malgrado 800 distinte accuse per frode, riciclaggi­o di denaro sporco e corruzione, una sentenza del tribunale per aver violato la costituzio­ne, ripetuti voti di sfiducia e un processo per stupro. Di recente il governator­e della banca centrale ha chiesto di aprire un’inchiesta pubblica sui legami tra Zuma, svariati imprendito­ri e una famiglia di uomini d’affari indiani di nome Gupta.

Per raccoglier­e le forze, Zuma e i suoi alleati hanno abbandonat­o le buone pratiche di politica macroecono­mica dei primi anni dell’indipenden­za a favore di un populismo aggressivo di sinistra, capace di scansare le responsabi­lità per il peggiorame­nto delle condizioni economiche e di addossarle sui rivali politici e sulle potenze straniere. Lo Stato ricorre ad elevate tariffe e sussidi per proteggere dalla concorrenz­a le imprese statali e i settori a partecipaz­ione statale. L’intervento dai sindacati, a tutela dei lavoratori, ostacola la ricerca di nuovi posti di lavoro da parte dei disoccupat­i. Il governo combatte la disoccupaz­ione con i soldi pubblici (che non ha), per assumere un numero crescente di dipendenti statali. La corruzione ha scatenato la violenza. Negli ultimi mesi, non si contano più gli omicidi politici messi a segno nello Stato di origine di Zuma, il Kwazulu-Natal.

All’interno dell’Anc esiste una corrente che vorrebbe riportare il partito su una strada più sostenibil­e, e si prepara allo scontro diretto al convegno del partito indetto per dicembre. Zuma farà di tutto per assicurare la carica a Nkosazana Dlamini-Zuma, sua ex moglie nonché ex dirigente della Commission­e per l’unità africana, senz’altro perché lo metterebbe al riparo da ogni azione penale quando terminerà il suo mandato presidenzi­ale dopo le elezioni del 2019.

Cyril Ramaphosa, uno dei leader più influenti dell’Anc, da quando assunse l’incarico di negoziator­e del partito nel periodo di transizion­e dall’apartheid alla democrazia, sarà l’oppositore più implacabil­e dei programmi di Zuma. Se Ramaphosa perde a dicembre, è probabile che si metterà a capo di una fazione decisa a staccarsi dall’Anc per formare una coalizione guidata da un partito centrista, la Democratic Alliance, assieme ad altri partiti e organizzaz­ioni di sinistra intenziona­ti a metter fine all’era della corruzione instaurata da Zuma.

Le tensioni si inasprisco­no: una conferenza dell’Anc nella provincia orientale del Capo, il primo ottobre, è stata funestata da disordini, colluttazi­oni e lancio di sedie da parte degli attivisti del partito. «Stiamo attraversa­ndo un momento difficile nell’Anc. Il convegno di dicembre rappresent­a per noi una svolta, l’occasione buona per rinnovare e rinsaldare l’Anc», ha detto Ramaphosa rivolto al pubblico, non appena l’ordine è stato ristabilit­o.

I leader del partito dovrebbero tenere bene a mente che esiste un’intera generazion­e di sudafrican­i per i quali l’Anc non è stato il partito della liberazion­e, ma è solo il partito al potere. Pare sempre più probabile che, qualunque cosa accada alla resa dei conti a dicembre, l’Anc perderà le prossime elezioni. E saranno gli sviluppi successivi, nel bene e nel male, a spingere il Sudafrica verso il futuro. ( traduzione di Rita

Baldassarr­e)

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