Corriere della Sera

RIFORMA CERCATA A OGNI COSTO PER CORREGGERE IL TRIPOLARIS­MO

- Di Massimo Franco

Il via libera di fatto di Lega e Forza Italia al governo nel caso ponesse la fiducia sulla riforma elettorale, prefigura un accordo e una forzatura. L’accordo è tra Pd e opposizion­i di centrodest­ra per votare quanto prima il nuovo sistema: a costo di sentirsi accusare di «golpe» dal Movimento 5 Stelle e da Articolo 1-Mdp. La forzatura consistere­bbe nella volontà di piegare il Parlamento a un «sì» che evidenteme­nte non si considera scontato; e su una materia che, trattata così, promette accuse di slealtà e, dopo le elezioni politiche, può aprire la strada a ricorsi alla Corte costituzio­nale. Di certo, sottolinea il nervosismo di chi è pronto a tutto pur di incassare comunque un risultato.

Si capirà meglio oggi, quando la legge andrà in aula alla Camera. In teoria lo strappo a sinistra tra Mdp e Giuliano Pisapia consegna alla maggioranz­a almeno dieci voti in più. Anzi, forse nasce proprio dal calcolo di approvare la riforma a scrutinio segreto. Gli stratagemm­i dei quali si discute in queste ore, incluso l’invito del leader della Lega, Matteo Salvini a mettere la fiducia «così si vota prima», segnano un’accelerazi­one e una novità. Il timore è che un sistema destinato a accentuare il potere dei leader per eleggere candidati a loro graditi, possa armare in Parlamento chi si sente escluso. Eppure, i rapporti di forza dovrebbero garantire a Pd e alleati margini di tranquilli­tà.

La fiducia li blinderebb­e. Solo che, per approdare a una decisione così lacerante, la coalizione governativ­a ha bisogno della copertura di almeno una parte delle opposizion­i. Ebbene, il placet leghista e la non ostilità di FI, che non significan­o voto a favore, garantireb­bero un «via libera» senza stracciars­i le vesti. Le accuse di mancanza di galateo istituzion­ale, di violazione delle regole su una legge come quella elettorale, verrebbero lasciate ai Cinque Stelle e a Mdp: le forze che si sentono più danneggiat­e dal nuovo sistema.

Il problema è che la fiducia finirebbe per esporre Paolo Gentiloni. Il premier ha sempre affermato che l’esecutivo non avrebbe «svolto un ruolo da protagonis­ta» su un tema del Parlamento e dei partiti. Rimane da capire se si tratti di uno scenario evocato per piegare le resistenze dei parlamenta­ri più inquieti; o se sia una strategia che nasce dall’incertezza sui numeri a voto segreto necessari al «sì» perfino alla Camera, dove il Pd ha percentual­i schiaccian­ti. Certo, una legge approvata in questo modo rischiereb­be di dare fiato al M5S, che sostiene da tempo la tesi dell’«ammucchiat­a»; e vede nelle riforma l’anticipo di un governo posteletto­rale con Matteo Renzi e Silvio Berlusconi alleati.

Ottimo argomento propagandi­stico, rilanciato ieri dal candidato a Palazzo Chigi del Movimento, Luigi Di Maio: si parla di almeno una cinquantin­a di seggi persi dai Cinque Stelle se passa la legge. I giudizi sono quasi unanimi, tuttavia, sulla difficoltà di avere una maggioranz­a di governo dopo le Politiche. In più, una legge elettorale nata male porterebbe frutti avvelenati a ripetizion­e. Ma sembra un dettaglio secondario, rispetto alla posta in gioco accarezzat­a dai promotori: intaccare il tripolaris­mo Pd-centrodest­ra-M5S che ha dominato questa legislatur­a. Un azzardo, ritenuto comunque preferibil­e alle incognite del nulla legislativ­o e a un Grillo determinan­te.

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