RIFORMA CERCATA A OGNI COSTO PER CORREGGERE IL TRIPOLARISMO
Il via libera di fatto di Lega e Forza Italia al governo nel caso ponesse la fiducia sulla riforma elettorale, prefigura un accordo e una forzatura. L’accordo è tra Pd e opposizioni di centrodestra per votare quanto prima il nuovo sistema: a costo di sentirsi accusare di «golpe» dal Movimento 5 Stelle e da Articolo 1-Mdp. La forzatura consisterebbe nella volontà di piegare il Parlamento a un «sì» che evidentemente non si considera scontato; e su una materia che, trattata così, promette accuse di slealtà e, dopo le elezioni politiche, può aprire la strada a ricorsi alla Corte costituzionale. Di certo, sottolinea il nervosismo di chi è pronto a tutto pur di incassare comunque un risultato.
Si capirà meglio oggi, quando la legge andrà in aula alla Camera. In teoria lo strappo a sinistra tra Mdp e Giuliano Pisapia consegna alla maggioranza almeno dieci voti in più. Anzi, forse nasce proprio dal calcolo di approvare la riforma a scrutinio segreto. Gli stratagemmi dei quali si discute in queste ore, incluso l’invito del leader della Lega, Matteo Salvini a mettere la fiducia «così si vota prima», segnano un’accelerazione e una novità. Il timore è che un sistema destinato a accentuare il potere dei leader per eleggere candidati a loro graditi, possa armare in Parlamento chi si sente escluso. Eppure, i rapporti di forza dovrebbero garantire a Pd e alleati margini di tranquillità.
La fiducia li blinderebbe. Solo che, per approdare a una decisione così lacerante, la coalizione governativa ha bisogno della copertura di almeno una parte delle opposizioni. Ebbene, il placet leghista e la non ostilità di FI, che non significano voto a favore, garantirebbero un «via libera» senza stracciarsi le vesti. Le accuse di mancanza di galateo istituzionale, di violazione delle regole su una legge come quella elettorale, verrebbero lasciate ai Cinque Stelle e a Mdp: le forze che si sentono più danneggiate dal nuovo sistema.
Il problema è che la fiducia finirebbe per esporre Paolo Gentiloni. Il premier ha sempre affermato che l’esecutivo non avrebbe «svolto un ruolo da protagonista» su un tema del Parlamento e dei partiti. Rimane da capire se si tratti di uno scenario evocato per piegare le resistenze dei parlamentari più inquieti; o se sia una strategia che nasce dall’incertezza sui numeri a voto segreto necessari al «sì» perfino alla Camera, dove il Pd ha percentuali schiaccianti. Certo, una legge approvata in questo modo rischierebbe di dare fiato al M5S, che sostiene da tempo la tesi dell’«ammucchiata»; e vede nelle riforma l’anticipo di un governo postelettorale con Matteo Renzi e Silvio Berlusconi alleati.
Ottimo argomento propagandistico, rilanciato ieri dal candidato a Palazzo Chigi del Movimento, Luigi Di Maio: si parla di almeno una cinquantina di seggi persi dai Cinque Stelle se passa la legge. I giudizi sono quasi unanimi, tuttavia, sulla difficoltà di avere una maggioranza di governo dopo le Politiche. In più, una legge elettorale nata male porterebbe frutti avvelenati a ripetizione. Ma sembra un dettaglio secondario, rispetto alla posta in gioco accarezzata dai promotori: intaccare il tripolarismo Pd-centrodestra-M5S che ha dominato questa legislatura. Un azzardo, ritenuto comunque preferibile alle incognite del nulla legislativo e a un Grillo determinante.