Il giorno più lungo della Catalogna Sarà secessione?
Oggi l’annuncio del presidente della Generalitat. «Procederemo a tappe». L’ipotesi di un compromesso
La Catalogna oggi sceglie. Ma alla vigilia della possibile dichiarazione d’indipendenza, Madrid annuncia che non arretrerà dalla linea dura. Il premier Rajoy dichiara che «farà tutto quello che serve» per impedire la secessione della Catalogna.
Non si sa come finirà, ma sarà una giornata storica, oggi, in Catalogna. E difficilmente pacifica. Mentre banchieri e imprenditori abbandonano la nave, in piena tempesta, l’Assemblea nazionale catalana, una dei registi più intransigenti della dichiarazione unilaterale d’indipendenza, attesa alle 18 per bocca del presidente della Generalitat, Carles Puigdemont, ha chiamato a raccolta i suoi sostenitori davanti al parlamento di Barcellona. Saranno tanti. Per celebrare la neonata (o resuscitata) Repubblica di Catalogna, oppure per castigare la pavidità del governo se dovesse esitare, rinviare — peggio — retrocedere dalla decisione attribuita alla volontà popolare con il referendum, anticostituzionale, del primo ottobre.
Ieri pomeriggio la sindaca Ada Colau ha lanciato in extremis un appello agli sfidanti, il presidente del governo centrale, Mariano Rajoy, e di quello autonomo, Puigdemont, «perché con le loro decisioni non facciano saltare residui spazi di dialogo». Al momento, fra sordi. La sindaca ha esortato ad abbandonare il linguaggio bellico, ma ha lei stessa fatto riferimento alla «dinamite» che i contendenti stanno piazzando sotto l’ultimo ponte tra Madrid e Barcellona: «Abbandoniamo le trincee — ha chiesto Colau —, abbiamo bisogno di tempo per respirare». Ma il tempo sta scadendo: il vice presidente della Generalitat, Oriol Junqueras, il portavoce Jordi Turull e il ministro degli Esteri di Puigdemont, Raül Romeva, hanno già notificato al parlamento catalano, con un documento mostrato dalla rete Sexta, i risultati del referendum, attivando il conto alla rovescia. La legge approvata dallo stesso parlamento al principio di settembre prevede che l’indipendenza sia proclamata entro 48 ore dalla vittoria del «sì». E Puigdemont, per quanto visibilmente inquieto, ha confermato che «applicherà la legge». Attivando automaticamente anche la risposta da Madrid della vice presidente spagnola, Soraya Sáenz de Santamaría: «Se dichiara l’indipendenza, reagiremo». Nel caso Madrid sospenda l’autonomia della Catalogna, come prevede l’articolo 155 della Costituzione, lo sviluppo più probabile è che si vada a elezioni (locali) anticipate. Sebbene sotto pessimi auspici per il Partido popular del premier Mariano Rajoy.
Ma c’è ancora spazio per manovre dell’ultima ora: con un’opera di alta ingegneria, Puigdemont ha assemblato per oggi pomeriggio un discorso misuratissimo, stando a fonti secessioniste citate dall’agenzia di stampa Efe. Sarà una dichiarazione di indipendenza con effetti «progressivi» e con la previsione di avviare in Catalogna un «processo costituente», nell’implicita speranza che ciò sia sufficiente a frenare l’ira di Madrid o, perlomeno, a suscitare consensi nella comunità internazionale, finora poco solidale. La ministra francese degli Affari europei, Nathalie Loiseau, ha assicurato che «Parigi non riconoscerà l’indipendenza dichiarata unilateralmente dalla Catalogna, che si ritroverà fuori dall’Ue». E dal governatore della Banca di Spagna, Luis Linde, è arrivato analogo avvertimento per quanto riguarda l’eurozona.
Ma le decine di migliaia di sostenitori dell’Assemblea nazionale catalana non intendono concedere vie di fuga a Puigdemont: «Hola Republica!», gli striscioni sono pronti per imporre al governo di mantenere le sue promesse. Oggi, antivigilia della festa nazionale spagnola. A qualunque costo.