«Io disabile sono un essere umano, non un mostro»
Aproposito di inclusione, parlando con una persona disabile, viene fuori che c’è solo sulla carta, e la realtà è, per certi aspetti, peggio della galera. Il mio racconto è l’estratto di una chiacchierata con «Enzo». «Sono un essere umano come voi: guardo, parlo, tocco con la mano. Una sola, però: gli altri tre arti non funzionano. Sono disabile, ma ho diritto a essere trattato come ogni altro uomo. Non è mai scontato, figuriamoci se poi il disabile diventa un "mostro". E non perché protagonista di fatti orribili, ma perché si è diffusa la più brutta delle voci: che mi piacciono i bambini. Sì, è vero. Per loro siamo davvero tutti uguali: neri, bianchi, bipedi e "carrozzati". Cè chi ha scambiato tale vicinanza con qualcosa di terrificante. Sarebbe meglio essere trafitto da un coltello che sapere che c’è chi pensa che io possa turbare e maltrattare l’innocenza dei bimbi. La caccia al mostro, però, è partita e io sono solo in una comunità che mi detesta. Sto pensando di andare via. Sì, lo so… gliela darei vinta. Eppure, in nome della dignità e per contrastare il mio dolore smisurato, la fuga sarebbe logica. Non ho ancora preso questa decisione: cerco – forse stupidamente – un barlume di umanità negli occhi di chi incrocio, che non mi veda né come un orco storpio, né come un essere da commiserare, ma semplicemente un uomo (quello che io sono!). Possiamo parlare di diritti e indennità varie, ma fino a quando le persone non ci vedranno con il cuore, le cose non cambieranno».