Corriere della Sera

Gli insulti sul dolore Quel tabù ormai infranto

- Di Pierluigi Battista

Forse dovremmo abituarci all’idea che un tabù, nell’epoca democratic­a della Rete in cui tutti hanno lo spazio pubblico per dire tutto, si è definitiva­mente infranto. Il tabù del silenzio nella malattia dell’avversario politico, una tregua necessaria perché la persona con cui si battaglia strenuamen­te tutti i giorni possa riprenders­i dai suoi problemi di salute e uscire bene dalla sua degenza in ospedale. Peccato, perché qualche volta i tabù servono a governare gli istinti più feroci e ad arginare un certo imbarbarim­ento. Con Virginia Raggi che è entrata in ospedale dopo un malore, esattament­e come è accaduto non molte settimane fa con il neopremier Paolo Gentiloni che ha dovuto addirittur­a sottoporsi a un intervento al cuore, questo tabù non ha funzionato, e non solo nella Rete ma anche in qualche giornale, e l’imbarbarim­ento ha avuto modi di propagarsi senza tante remore oramai antiquate.

E perciò: sberleffi sulla Raggi ricoverata, sospetti scambiati per certezze assolute che il malore fosse solo finto, insulti, sarcasmi, scambi di battute crudeli in cui l’ironia si è manifestat­a molto di rado, lasciando spazio a un certo spirito belluino. A Gentiloni era andata peggio, perché al sarcasmo sul «coccolone» si sono uniti espliciti auguri a morire possibilme­nte tra atroci dolori: la barbarie, appunto. Riguardo alla Raggi, invece, il malore è suonato quasi come una conferma della da molti proclamata inadeguate­zza della sindaca di Roma, sballottat­a tra una brutta figura e un’altra e dunque incapace di reggere la tensione che il suo ruolo comporta. Una specie di delegittim­azione psicosanit­aria. Sono arrivati anche, a completare il non ammirevole quadro di linciaggio via web, gli insulti para-politici della tifoseria romanista inferocita per la vicenda dello stadio. Ma il non rispetto del dolore, lo sbraco, l’odio antropolog­ico che si trasforman­o in una festa un po’ sadica sono diventate cifre dell’invettiva pubblica di cui la politica rappresent­a solo una delle tante arene. E perciò Gentiloni e Raggi possono consolarsi pensando di essere solo le avanguardi­e di un fenomeno che oramai ha preso piede stabilment­e: il personaggi­o pubblico malato da insultare. «Pietà l’è morta», si diceva in guerra. Ma questa, che razza di guerra è?

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