Gli insulti sul dolore Quel tabù ormai infranto
Forse dovremmo abituarci all’idea che un tabù, nell’epoca democratica della Rete in cui tutti hanno lo spazio pubblico per dire tutto, si è definitivamente infranto. Il tabù del silenzio nella malattia dell’avversario politico, una tregua necessaria perché la persona con cui si battaglia strenuamente tutti i giorni possa riprendersi dai suoi problemi di salute e uscire bene dalla sua degenza in ospedale. Peccato, perché qualche volta i tabù servono a governare gli istinti più feroci e ad arginare un certo imbarbarimento. Con Virginia Raggi che è entrata in ospedale dopo un malore, esattamente come è accaduto non molte settimane fa con il neopremier Paolo Gentiloni che ha dovuto addirittura sottoporsi a un intervento al cuore, questo tabù non ha funzionato, e non solo nella Rete ma anche in qualche giornale, e l’imbarbarimento ha avuto modi di propagarsi senza tante remore oramai antiquate.
E perciò: sberleffi sulla Raggi ricoverata, sospetti scambiati per certezze assolute che il malore fosse solo finto, insulti, sarcasmi, scambi di battute crudeli in cui l’ironia si è manifestata molto di rado, lasciando spazio a un certo spirito belluino. A Gentiloni era andata peggio, perché al sarcasmo sul «coccolone» si sono uniti espliciti auguri a morire possibilmente tra atroci dolori: la barbarie, appunto. Riguardo alla Raggi, invece, il malore è suonato quasi come una conferma della da molti proclamata inadeguatezza della sindaca di Roma, sballottata tra una brutta figura e un’altra e dunque incapace di reggere la tensione che il suo ruolo comporta. Una specie di delegittimazione psicosanitaria. Sono arrivati anche, a completare il non ammirevole quadro di linciaggio via web, gli insulti para-politici della tifoseria romanista inferocita per la vicenda dello stadio. Ma il non rispetto del dolore, lo sbraco, l’odio antropologico che si trasformano in una festa un po’ sadica sono diventate cifre dell’invettiva pubblica di cui la politica rappresenta solo una delle tante arene. E perciò Gentiloni e Raggi possono consolarsi pensando di essere solo le avanguardie di un fenomeno che oramai ha preso piede stabilmente: il personaggio pubblico malato da insultare. «Pietà l’è morta», si diceva in guerra. Ma questa, che razza di guerra è?