Zizou Mondiale L’ultima rivincita del sottovalutato
C’è, nel tribolato 4-2 ai Kashima Antlers che ieri a Yokohama ha consegnato al suo Real Madrid il secondo Mondiale per club, una sintesi estremamente fedele di Zinedine Zidane e del suo densissimo 2016: l’illusione iniziale, una faticaccia del diavolo a piegare un avversario più debole, i cattivi pensieri, l’aiuto semidivino — ieri di Cristiano Ronaldo, tripletta, con i due gol decisivi nei supplementari — e infine il successo, il terzo in meno di un anno dopo Champions e Supercoppa Europea. Non entusiasma Tokyo Ramos e Zidane (Afp)
ma ha vinto più lui in undici mesi che Mourinho in tre anni, fanno notare in queste ore molti commentatori spagnoli, gli stessi che forse da qui in poi dovranno rivedere i giudizi sulle sue qualità di allenatore. Zizou è un sottovalutato: non sarà spirituale come Guardiola, non trasmetterà la paterna armonia di Ancelotti, non ha avrà l’ingegno bellico di Mou, sembra invece solo un formidabile ex fuoriclasse finito in una cosa più grande di lui, troppo per lui. Non guida, accompagna. Però vince quasi sempre. I suoi molti detrattori obiettano che con tutti quei pezzi da novanta ce la farebbe anche un asino: i campioni aiutano, chiaro, ma non bastano. Altrimenti Rafa Benitez, giusto per citare il suo predecessore, starebbe ancora al suo posto. «Fidatevi, è più dura gestire una squadra di campioni che di brocchi» assicura spesso Fabio Capello, uno che le pieghe del madridismo le conosce bene. L’unica verità è che non perde una partita da aprile, ZZ, che ha una media di oltre due punti e mezzo a gara, che ha vinto 41 volte su 53, che è in testa alla Liga. Non grida mai «perché non serve», dice, e una volta ha spiegato di non aver paura d’essere licenziato «perché so che pri+ma o poi succederà». Silenzi e fatalismo, a volte si vince anche così.