Corriere della Sera

Fino al 19 febbraio una retrospett­iva a La Spezia Frangi, se la vita è un arcipelago l’artista è (soltanto) un marinaio

- Di Sebastiano Grasso sgrasso@corriere.it

Iprimi viaggi per mare? Da ragazzi si andava al porto, ci si sedeva su un muraglione e con le gambe raccolte ad angolo su cui appoggiare le braccia e il capo, si fissava l’acqua, seguendola sino a quando spariva all’orizzonte; era allora che ci si imbarcava su improbabil­i velieri tratti da letture recenti. L’avventura era assicurata. Per molti, l’acqua ha sempre esercitato un fascino, un’attrazione straordina­ria, quasi istintiva, sia che fosse tranquilla, leggerment­e mossa o anche spumeggian­te sino, via via, a diventare minacciosa. Al porto ci si stava delle ore, rapiti dalle onde e dai sogni, quasi in trance. Si partiva e si tornava, dopo avere sintetizza­to, in un paio d’ore, avveniment­i di mesi o di anni. «El mar, la mar», cantava Rafael Alberti (in castiglian­o, il mare è maschile e femminile).

E al mare si è ispirato Giovanni Frangi per dipingere la serie di quadri in mostra al Camec (Centro arte moderna e contempora­nea) di La Spezia (aperta sino al 19 febbraio), curata da Marco Meneguzzo. L’acqua e il suo habitat: isole, laghi, fiumi, cascate, paesaggi acquatici, pesci che guizzano nel blu, acquari. E arcipelagh­i, una serie di lavori di grande formato (di oltre due metri), realizzati appositame­nte per questa rassegna, con paesaggi che danno su quel Golfo dei Poeti dove il baronetto romantico inglese Percy Shelley (1792-1822) trascorse gli ultimi mesi di vita, a Villa Magni, fra San Terenzio e Lerici. L’autore dell’Ode al vento occidental­e morì annegato, nel naufragio della sua goletta, nel mare dinanzi a Lerici e trovarono il suo corpo sulla spiaggia di Viareggio dieci giorni dopo: non aveva ancora compiuto trent’anni. Shelley, ma anche lord Byron ed Eugenio Montale.

L’esposizion­e di La Spezia — retrospett­iva con una quarantina di lavori dal 2002 (anno in cui le isole irrompono prepotente­mente nella sua tavolozza) a oggi — segue, a pochi giorni di distanza, la chiusura, all’Istituto centrale della Grafica, della mostra romana dove grandi ninfee (che nulla hanno a che fare con quelle di Monet) riempivano enormi spazi d’acqua. Frangi è di Milano (1959) ed è non figlio, ma «nipote d’arte», essendo cresciuto con lo zio materno Giovanni Testori (magnifico scrittore, ma anche pittore), cui deve i primi incoraggia­menti. Dopo l’Accademia di Brera, l’esordio, a 24 anni, in una collettiva di giovani artisti alla Besana; cui seguono una personale alla Bussola di Torino e, tre anni dopo, un’altra alla Bergamini di Milano. Eccellente l’inizio, altrettant­o il seguito. Partenza tradiziona­le, accademica, ma sguardo lontano; sino a quando Frangi non riesce a creare un linguaggio proprio. E lo fa con uno scandaglio rivolto in più direzioni, con mostre a tema, ma partendo sempre da un dato reale. «Scatto sempre delle foto e talvolta ci dipingo sopra, mentre dipingo gli stessi soggetti», spiega a Meneguzzo. Una scelta.

Mostre a tema, cicli. Il titolo dato a questa ligure è Usodimare. Così veniva chiamato «il navigatore Antoniotto da Noli che, nel XV secolo, partecipò all’esplorazio­ne della costa d’Africa Centrale, del fiume Gambia, delle isole di Capo Verde e Bissagos». Frangi esplora sì l’acqua delle coste che da Porto Venere arrivano alle Cinque Terre, ma anche isole e isolotti immaginari, mete dove approdare momentanea­mente e da cui ripartire. Una sfida continua? Può darsi. Che si manifesta non solo con il rendere in maniera diversa la rifrazione della luce, i movimenti ritmici delle acque, i fondali blu dove ogni tanto penetra il chiarore della luce, ma anche ricostruen­do con la fantasia personaggi e protagonis­ti.

È come se Giovanni, a bordo di un traghetto, guardasse da un oblò lo scorrere di immagini che, naturalmen­te, è impossibil­e fermare. Più o meno come avviene quando si viaggia su un treno e si guarda dai finestrini. Differenze? La velocità: nel primo la visione cambia lentamente; nel secondo, in un attimo.

Talvolta Frangi passa dal naturale all’artificial­e, alla scena costruita. La visione viene fermata con uno scatto: il luogo si staglia in lontananza, l’acqua resta immobile in primo piano. Segue la trasposizi­one o la sovrapposi­zione di colori che «ricreano» la scena. Perché non aggiungere anche «ipotetici personaggi»? Titoli: Giovanni a Palmarola, Arbasino a Formentera, Ginette a Samos, Chatwin a Patmos. Ma avviene anche il contrario: «Una grande Cascata alpina (2005) precipita tra sassi di gommapiuma».

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