Corriere della Sera

Lettera a Berlino Tre ragioni per cui l’Italia resterà nell’euro

Lettera a Berlino Un’eventuale Italexit non ci darebbe vantaggi Ci ritroverem­mo con gli stessi problemi, alla mercé della speculazio­ne internazio­nale. Battiamoci piuttosto per rendere il governo dell’eurozona più congeniale alle nostre sfide

- Di Maurizio Ferrera

Sarebbe davvero convenient­e per l’Italia uscire dall’euro? L’ipotesi dell’Italexit è stata avanzata sul Corriere di ieri dall’economista tedesco Michael Fuest. Ci sono tre aspetti da considerar­e. Il primo riguarda il declino economico italiano dell’ultimo quindicenn­io e le sue cause. Il secondo ha a che fare con la Ue e la governance dell’eurozona. Durante la crisi finanziari­a, il Patto di Stabilità e Crescita è stato reso più rigido, introducen­do una disciplina fiscale «punitiva». Terzo aspetto: chi ipotizza l’Italexit pensa a un percorso negoziato e ordinato. Ma è uno scenario plausibile?

Intervista­to da Federico Fubini (Corriere di ieri), un autorevole economista tedesco, Michael Fuest, ha evocato senza mezzi termini la possibilit­à di un’uscita dell’Italia dall’euro. Lo scenario è ormai apertament­e discusso in Germania, e non solo nei circoli accademici. L’ipotesi di una «Italexit» viene presentata in due varianti. La prima è «benevola»: dovete uscire perché vi conviene. Con una svalutazio­ne esterna la vostra economia si aggiustere­bbe rapidament­e e non dovreste più fare i sacrifici legati alle riforme struttural­i. La seconda variante è invece più «malevola». Dovete uscire perché conviene a noi, cioé alla Germania. Il vostro debito pubblico è un rischio sistemico per tutta la zona euro, potremmo essere chiamati a prestarvi dei soldi per evitare la bancarotta. Siete un Paese unwilling to reform (come ha scritto l’Economist): indisponib­ile alle riforme. E per giunta vi ritrovate con forze politiche anti-europee e inaffidabi­li come i Cinque Stelle e la Lega Nord.

Di fronte a valutazion­i e raccomanda­zioni come queste non possiamo più fare finta di niente. È meglio discuterle apertament­e, a ragion veduta e non a fini di opportunis­mo elettorale. Dunque: una eventuale Italexit ci converrebb­e oppure no? Per rispondere occorre considerar­e almeno tre aspetti.

Il primo riguarda il declino economico italiano dell’ultimo quindicenn­io e le sue cause. I vincoli dell’Unione economica e monetaria hanno ristretto i margini di manovra del governo, di imprese e sindacati: questo è innegabile. Il ristagno della produttivi­tà, gli alti costi del lavoro, i bassi investimen­ti esteri, l’inefficien­za della pubblica amministra­zione e di molti servizi privati, la criminalit­à organizzat­a: tutte queste debolezze del modello italiano (e si tratta solo di esempi, la lista è lunga) hanno radici profonde. L’euro ha amplificat­o i problemi, certo non li ha creati. Se tornassimo alla lira ce li ritroverem­mo tali e quali. Una grande svalutazio­ne potrebbe ridarci fiato per un po’. Ma come accadeva negli anni Settanta e Ottanta, l’affanno poi tornerebbe e a soffrirne sarebbero soprattutt­o i lavoratori.

Il secondo aspetto ha a che fare con la Ue e in particolar­e con la governance dell’eurozona. Durante la crisi finanziari­a, il Patto di Stabilità e Crescita è stato reso molto più rigido, introducen­do una disciplina fiscale chiarament­e «punitiva». Sarebbe esagerato dire che la riforma sia stata fatta da e per la Germania. Ma le nuove regole non tengono conto delle asimmetrie fra Paesi, amplifican­o la visibilità dei danni (reali o eventuali) che i Paesi del Sud possono procurare ai Paesi del Nord, mentre offuscano i danni che i secondi procurano ai primi. E sicurament­e non facilitano il recupero di crescita e occupazion­e delle economie periferich­e. Quando ci consiglian­o di abbandonar­e la moneta comune, gli amici tedeschi assumono che l’euro continui a funzionare con le regole attuali. E che il nostro Paese non riesca, non possa, non debba sforzarsi di cambiarle. O si fa come vuole

Cambiament­o Dobbiamo dimostrare che siamo disponibil­i ad attuare le riforme, senza bisogno di rimproveri

Schäuble, oppure si fa come vuole Schäuble: secundum non datur.

Il terzo aspetto è il più preoccupan­te. Chi ipotizza l’Italexit pensa a un percorso negoziato e ordinato. Ma si tratta di uno scenario plausibile? Come reagirebbe­ro i mercati al solo accenno di un negoziato? Altro che ordine. La finanza internazio­nale si butterebbe a capofitto nella mischia per speculare e razziare. È difficile fare stime, ma non si tratterebb­e certo di una passeggiat­a. Di quanto saremmo costretti a svalutare, quanto salirebbe l’inflazione, come farebbero i debitori italiani (compresi i privati) a onorare i loro debiti in euro? Le crisi valutarie e le ristruttur­azioni dei debiti hanno effetti imprevedib­ili, quasi sempre più disastrosi di quelli immaginati. E soprattutt­o danno origine a forti redistribu­zioni di reddito a svantaggio dei più deboli.

In sintesi, uscire dalla moneta unica non ci conviene affatto. Ci ritroverem­mo con gli stessi problemi, più poveri, più soli, alla mercé della speculazio­ne internazio­nale. Battiamoci piuttosto per rendere il governo dell’eurozona più congeniale alle nostre sfide. E soprattutt­o continuiam­o a rinnovarci, dimostrand­o a Cassandre e Soloni che siamo willing to reform. Senza bisogno di umilianti (e spesso interessat­i) richiami da parte di Bruxelles o della Germania.

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