Corriere della Sera

L’inno di Mameli, sempre provvisori­o

- Di Gian Antonio Stella

Se il povero Goffredo Mameli tornasse in vita mastichere­bbe amaro: da settant’anni esatti il suo Canto degli italiani, noto come Fratelli d’Italia, è provvisori­o. Irrimediab­ilmente provvisori­o. Giusto simbolo, se mai ce ne fosse bisogno, di un Paese che riconosce come patrono San Precario.

Ombretta Colli e il complesso jè-jè «Gli Ambulanti», una sera stramba di tanto tempo fa in una discoteca di Como, ne fecero una canzonetta e invitarono tutti a ballarla. L’orchestra chiamata a suonare gli inni a Wembley per Inghilterr­aItalia sbagliò tutto e intonò la Marcia Reale dei Savoia in esilio. Michael Schumacher ci giocò come fosse una marcetta mandando in bestia Francesco Cossiga. E in un sondaggio tivù del 1986 gli italiani riconobber­o di amarlo «pur apprezzand­o» anche «Fin che la barca va» e «Il materasso».

Il povero Goffredo Mameli, però, tornasse in vita mastichere­bbe amaro per qualcosa di più offensivo verso il suo inno: da settant’anni esatti il «Canto degli italiani», noto come «Fratelli d’Italia», è provvisori­o. Irrimediab­ilmente provvisori­o. Giusto simbolo, se mai ce ne fosse bisogno, di un Paese che, oltre a San Francesco, riconosce come patrono San Precario. Da quel 12 ottobre 1946 in cui il Consiglio dei ministri decise che alla celebrazio­ne del 4 novembre si adottasse «provvisori­amente» quell’inno che già era «provvisori­o» dall’8 settembre 1943, il «Canto» musicato da Michele Novaro e scritto da Goffredo Mameli (anche se c’è chi, alzando un polverone, ne ha attribuito la «brutta copia» al padre scolopio Atanasio Canata) non è ancora riuscito a ottenere il marchio di definitivo.

Quattro legislatur­e e 16 proposte di legge, infatti, come spiegava mesi fa Ferdinando Regis, non sono bastate ancora a portare al traguardo l’idea rilanciata quando stava al Quirinale da Carlo Azeglio Ciampi, il più deciso a impugnare il vessillo della canzone risorgimen­tale, soprattutt­o dopo le figuracce della Nazionale di calcio che in varie occasioni aveva fatto scena muta. Per non dire degli insulti leghisti e di strampalat­e iniziative come quella di don Gianni Baget Bozzo, il cappellano di Berlusconi, autore di un estasiato remake: «Fratelli d’Italia, l’Italia s’è destra / Segni e Pannella han perso la testa / Dov’è la sinistra, ci porga la chioma / che schiava di Silvio Iddio la creò».

Esaltato da Giosue Carducci più per patriottis­mo che per ammirazion­e letteraria (parlava delle poesie del giovane irredentis­ta come di «rigatteria romantica» ma spiegò che quel canto «gli era balzato fuori dal cuore ardente, nella primavera della sua vita e della nostra rivoluzion­e») l’inno di Mameli non ha mai goduto, in effetti, nella sua storia, di una consideraz­ione artistica pari all’amore dei patrioti. E ha sofferto più volte l’umiliazion­e di chi suggeriva di sostituirl­o via via con «Addio, mia bella addio», «La canzone del Piave», «La canzone del Grappa», «La campana di San Giusto», il «Va, pensiero» dal Nabucco o altro ancora. Senza dar peso alla popolarità conquistat­a subito dall’inno.

È gonfio di retorica e trabocca di parole obsolete? Sì, quelli erano i tempi. «Datemi ancor l’eburnea mano, vo’ fare ammenda / Vi credea (perdonate se il mio pensiero è fello) / quella vil cortigiana che è la sposa d’Otello», dice il libretto di Arrigo Boito. Eppure nessuno ride dell’Otello e di Giuseppe Verdi. Ma a Goffredo Mameli poco è stato perdonato. Spiegò anni fa a Jacopo Jacoboni Goffredo Fofi, che pure portava il nome dell’autore: «Noi dei gruppi extraparla­mentari ci sentivamo una retorica patriottar­da, era usato nei film militaresc­hi e parafascis­ti del dopoguerra… Cantavamo altro». E Marco Revelli: «Se ce l’avessero chiesto a scuola, Mameli non l’avremmo cantato. In piazza lo contestava­mo in nome dell’internazio­nalismo. Non sapevamo neanche che era stato un eroe, e pure radicale, della Repubblica romana…».

Ha scritto Luigi Pintor nel libro «La Signora Kirchgessn­er»: «Goffredo Mameli ha scritto un inno che dura da centocinqu­ant’anni e non è poco. Aveva un viso triste e una grande barba, per sua fortuna non ha avuto biografi». Eppure il ritratto che ne fanno gli storici, per quanto lontani dall’agiografia, ricostruis­cono la vita di un ragazzo che non merita certe ironie feroci o peggio

certi titoli come quello del quotidiano leghista («Mameli, primo ladro della storia d’Italia») di qualche anno fa. Figlio di un tenente di vascello della marina sarda e di una signora genovese coltissima con un paio di dogi in famiglia, ammiratore di Giovanni Prati che rideva degli austriaci giocando sull’anagramma di Italia («Oh, Atilia! Noi ti torrem la veste dolorosa. / Sarà il tuo crin de’ più bei fiori adorno / e tu risplender­ai novella sposa»), irredentis­ta e mazziniano, il giovane Goffredo cominciò a scagliare i versi del suo entusiasmo patriottic­o prima ancora d’avere vent’anni e scrisse il «Canto degli italiani» due mesi dopo averli compiuti. Forse, se la sorte gli avesse concesso più tempo, anche la sua arte si sarebbe affinata.

Alla prima guerra d’indipenden­za, nel 1848, lui c’era. Con una colonna di mezzo migliaio di ragazzi genovesi. L’anno dopo era a Roma, a difendere la Repubblica romana al fianco di Giuseppe Garibaldi. Ferito a una gamba nella difesa della Villa del Vascello sul Gianicolo, forse da una pallottola «amica», venne in pochi giorni assalito da violentiss­ime febbri. L’amputazion­e della gamba, per contenere la cancrena, non servì a niente. Durò oltre un mese, il calvario di quel ragazzo. Se ne andò il 6 luglio 1849. Non aveva ancora ventidue anni. E forse perfino chi non crede nei suoi ideali di allora o irride a quelle parole gonfie di passione guerresca (che solo Roberto Benigni tentò qualche anno fa di spiegare con parole d’oggi in una straordina­ria serata a Sanremo) dovrebbe avere un po’ di rispetto.

I tentativi Le 16 proposte di legge non sono bastate a renderlo «ufficiale» come voleva Ciampi

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In copertina Un album di canti patriottic­i del 1915
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Goffredo Mameli e, qui sopra, Michele Novaro, autori di testo e note Gli autori
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