Corriere della Sera

UN MODELLO OLTRE IL LIBERISMO PER CONQUISTAR­E IL FUTURO

Età post ideologica Occorre trovare un equilibrio fra austerità e flessibili­tà. La strada da imboccare non è facile

- di Mauro Magatti

Per sostenere Hillary Clinton, Michelle Obama ha definito l’ex segretario di Stato «la candidata più qualificat­a» per gestire la complessa macchina del governo americano. Affermazio­ne dalla quale è difficile dissentire. Ma che la sottolinea­tura della First Lady serva davvero a mobilitare il voto dei ceti popolari, necessario alla candidata democratic­a per vincere le elezioni, è tutto da dimostrare.

In realtà, occorre domandarsi perché buona parte dell’elettorato d’Oltreocean­o sia attratto da una figura come Trump, che ha inanellato una gaffe dietro l’altra, dando ripetutame­nte prova della sua scarsa preparazio­ne rispetto a una posizione di governo.

Il caso americano non è però isolato. Sembra infatti che, in questo momento storico, prendere le distanze dai giudizi dell’establishm­ent sia sufficient­e per vincere le elezioni. Anche quando si sostengono cose che il buon senso istituzion­ale — ivi compreso il sapere degli esperti — considera risibili e pericolose: come è stato, ad esempio, nel caso della Brexit. Tutto ciò può suonare strano. Ma nella storia qualcosa di analogo è accaduto tutte le volte in cui il potere costituito non ha voluto mettere in discussion­e la propria visione delle cose, anche di fronte a evidenze difficilme­nte ignorabili. Un errore prospettic­o che, quando non corretto per tempo, ha portato a rivolgimen­ti traumatici.

Ancora oggi è probabile che Hillary Clinton possa riuscire a spuntarla. Ma non si può non rimanere colpiti dalla sua incapacità di segnare una qualche discontinu­ità. Per larga parte dell’elettorato, il merito principale di Trump è sempliceme­nte quello di prendere le distanze dal pensiero dominante. Quando parla della costruzion­e di muri, degli interessi finanziari che controllan­o i media e la politica o del bisogno di ordine pubblico, Trump traduce in discorso politico la crisi della globalizza­zione liberista.

Nell’età post ideologica a contare sono le retoriche politiche mediante le quali i sentimenti dell’opinione pubblica prendono forma. Oggi significa chiedersi: dopo anni di stagnazion­e economica e di fronte alle crescenti difficoltà in cui si dibatte la vita di tanti cittadini, che cosa può prospettar­e la politica?

Se si guardano le previsioni dobbiamo aspettarci anni in cui la crescita, se positiva, sarà comunque molto flebile. Il che significa che la discrasia tra i tempi di aggiustame­nto degli andamenti macroecono­mici e la vita concreta delle persone — esattament­e lo spazio entro cui si radica la nuova retorica che chiamiamo populista — non sarà superata a breve. Per uscire da questo cul de sac, c’è dunque bisogno di un nuovo discorso pubblico capace di rimodellar­e la relazione tra aspettativ­e individual­i e progresso sociale: se non si può più realistica­mente promettere la crescita per tutti, che cosa si può dire allora?

Nell’Europa post 2008 domina la retorica tedesca dell’austerity: per andare avanti occorre combattere gli sprechi, diventare più competitiv­i, aumentare l’efficienza. In salsa tedesca, ciò ha portato a risultati significat­ivi. Ma è un modello che ha mostrato diversi limiti. In primo luogo, non tutti sono tedeschi. In secondo luogo, esso da solo non basta: l’ingiustizi­a sociale e le complicanz­e esterne — a cominciare dagli immigrati — possono rendere politicame­nte insostenib­ile una tale soluzione. Infine, esso si regge solo quando è possibile scaricare su terzi una parte delle contraddiz­ioni che produce.

La soluzione sta allora nell’insistenza di Renzi per una maggiore flessibili­tà? Sì e no. Perché, se il richiamo del premier esprime la ragionevol­issima esigenza di non sottostare alle conseguenz­e socialment­e e politicame­nte disastrose di una visione astratta — usando con intelligen­za gli strumenti di cui si dispone per attraversa­re la transizion­e — è pur vero che esso rimane prigionier­o dell’immaginari­o che abbiamo ereditato dal passato, per il quale la finanza è la soluzione dei nostri problemi.

In realtà, la querelle tra austerity e flessibili­tà può essere superata

Rapporto con i cittadini Non si può promettere più la crescita a tutti, quindi c’è bisogno di un nuovo discorso pubblico

a condizione di riflettere di più sul fatto che, con la crisi del 2008, siamo entrati in una fase post-liberista. Oggi la crescita economica può sussistere solo in rapporto a un ordine politico, limitato e integrato. Capace di assumersi la responsabi­lità di fissare priorità comuni, criteri di redistribu­zione delle risorse, regole di ingaggio e investimen­to sul futuro. Oltre che di negoziare il proprio rapporto con il mondo che lo circonda. Tutte questioni che mettono a nudo l’insufficie­nza dell’architettu­ra attuale della Unione Europea.

Di fronte a una situazione come quella in cui ci troviamo è venuto il momento di dire all’opinione pubblica che occorre tornare a conquistar­e il futuro, perché non c’è più nessuno — nemmeno mamma-finanza — in grado di garantirlo. E nel contempo di rassicurar­la che c’è un’autorità politica sufficient­emente coesa e garante della giustizia, in grado di riconoscer­e e sostenere tutti coloro che danno il loro contributo costruttiv­o.

La strada che va oltre la trita reiterazio­ne del mantra liberista, l’ortodossia ordoliberi­sta e il populismo emergente si comincia a intravvede­re. Ma non è così facile riuscire a imboccarla.

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