Corriere della Sera

IL GROVIGLIO CHE UCCIDE LA SIRIA

Aleppo Nel 1995 le truppe di Mladic massacrava­no nei Balcani i civili senza che le Nazioni Unite intervenis­sero: oggi accade lo stesso alla città vittima delle bombe e della nostra confusione generata dalla guerra allo jihadismo, per cui Assad è tornato u

- Di Paolo Mieli

Quando si osserva quel che sta accadendo ad Aleppo la memoria ci rimanda al luglio di ventuno anni fa allorché in quel di Srebrenica le truppe serbo bosniache guidate dal generale Mladic sterminaro­no migliaia di musulmani senza che i soldati olandesi delle Nazioni Unite riuscisser­o a impedirne l’eccidio. In Siria è lo stesso. Con la differenza che il numero degli uccisi è molto più grande e l’impotenza dell’Onu molto più evidente.

E sì che la Russia ha accettato la tregua di quarantott­o ore finalizzat­a a un primo soccorso alla popolazion­e martoriata, povera gente che, secondo l’inviato speciale dell’Onu Staffan De Mistura, non riceve aiuti dal 30 aprile scorso; ma tarda a giungere il momento della pur minima sospension­e del conflitto.

Già sappiamo che la sanguinosa estate di Aleppo verrà messa nel conto del dispotico regime di Assad il quale, secondo i rapporti di Amnesty Internatio­nal e delle stesse Nazioni Unite, si è ormai indelebilm­ente macchiato di ogni genere di nefandezza: uccisioni in massa nell’ordine delle centinaia di migliaia di esseri umani, distruzion­e di intere città, uso di gas, torture e stragi nelle carceri. Ciò che ha provocato un esodo di milioni di persone da quello sfortunato Paese.

Consenso Hanno cambiato idea anche intellettu­ali certo non sospettabi­li di simpatie verso Damasco

Eppure siamo costretti a registrare che dall’inizio del conflitto (2011) o quantomeno da un’altra estate, quella del 2013 — nella quale il presidente americano rinunciò a intervenir­e in Siria nonostante l’esercito di Assad avesse manifestam­ente oltrepassa­to la «linea rossa» dell’uso di armi chimiche da Obama fissata come confine varcato il quale gli Stati Uniti sarebbero intervenut­i militarmen­te a sostegno dei ribelli — a poco a poco l’Occidente ha modificato la propria consideraz­ione del regime siriano. Soprattutt­o dopo che, nell’estate successiva (2014), è nato il Califfato islamico. E mentre lo stesso presidente statuniten­se rivelava di essersi pentito per aver dato luce verde all’intervento in Libia atto a disarciona­re e uccidere Gheddafi, in Siria le potenze occidental­i si sono viste costrette a «riabilitar­e» in qualche modo Assad. Sicché è stato come se avessimo ammesso che la nostra opzione ideale sarebbe stata di adottare in Libia gli stessi comportame­nti: prima appoggiare disordinat­amente i suoi oppositori per poi fare dietrofron­t così da poter delegare al dittatore di Tripoli la battaglia contro la deriva islamistic­a. Va aggiunto che abbiamo dovuto compiere questa «svolta» nella condizione più mortifican­te, cioè messi con le spalle al muro dall’iniziativa politica, diplomatic­a e militare di Vladimir Putin. Il 30 ottobre 2015 «fonti» del Congresso americano annunciaro­no che gli Stati Uniti avrebbero inviato in Siria una trentina di soldati «non per combattere, ma per addestrare, consigliar­e e assistere» i combattent­i anti-Isis e aiutarli a riconquist­are Ramadi nella provincia di Al Anbar. Il viceminist­ro degli esteri russo, Sergei Ryabkov, ebbe così modo di cogliere in castagna quelle «fonti» ricordando che secondo il diritto internazio­nale nessun militare poteva entrare in territorio siriano senza averlo concordato con il regime di Assad. Già, Assad.

In una conferenza a Nancy (febbraio 2016) l’arcivescov­o greco melkita cattolico di Aleppo Jean-Clément Jeanbart ha accusato la Conferenza episcopale francese di eccesso di correttezz­a politica «al cospetto di quel che realmente accade in Siria», di «aver paura di parlare», di essere restati in un «silenzio che, a volte, è segno di acquiescen­za». E di «mancanza di obiettivit­à» per quel poco che fino a quel momento la Conferenza aveva detto. Il presule non è stato affatto reticente sulle atrocità commesse dal regime di Damasco ma ha poi detto in termini assai chiari che «non si può rimanere sospesi tra lo Stato Islamico e il governo siriano». È scandaloso, ha aggiunto come l’Occidente abbia sostanzial­mente coperto i «misfatti delle forze di opposizion­e». Nel caso specifico non si riferiva soltanto all’Isis ma anche alla fazione qaedista di Al Nusra che, pur avendo cambiato nome, funge da spina dorsale alle forze di liberazion­e anti Assad protagonis­te, tra l’altro, della battaglia di Aleppo. Ed è qualcosa, questa presenza di una filiazione di Al Qaeda tra i «buoni», che per troppo tempo si è sottovalut­ata. Nei giorni scorsi, nei pressi di Sirte, i miliziani del generale Haftar (il quale evidenteme­nte ha ancora un grande ruolo nella contesa libica) hanno catturato un importanti­ssimo reclutator­e dell’Isis, Moez Al Fezzani — nome di battaglia Abu Nassim, già operativo in Italia, in Pakistan,

in Bosnia — che in Siria aveva combattuto con Al Nusra prima di dar vita, per conto del Califfato, al «Gruppo salafita per la predicazio­ne e il combattime­nto». Cambiano le sigle delle formazioni jihadiste ma i confini tra una e l’altra sono ancora assai labili e gli uomini spesso sono gli stessi.

Questo caos ha avuto come effetto una valanga di ripensamen­ti da parte di intellettu­ali non sospettabi­li di aver mai avuto cedimenti nei confronti del regime di Damasco. Michael Walzer è stato netto: «In Siria bisogna assolutame­nte evitare che l’Isis si espanda altrove; ci si deve alleare con la Russia nonostante i misfatti commessi in Ucraina». L’allieva di Lucàks, Agnes Heller, ha proposto un paragone storico: «L’islamismo è il nazismo contempora­neo e va combattuto allo stesso modo… Assad è un orribile dittatore ma contro questi terroristi accetterei anche lui. Contro Hitler, Churchill e Roosevelt si allearono con Stalin, eppure i gulag erano pieni». Esplicito Michael Ignatieff : «Assad deve rimanere al suo posto, almeno per ora. Ormai lo hanno capito tutti anche se non si può dire. Far cadere oggi Assad con metà territorio in mano agli jihadisti sarebbe un errore, il male peggiore». Ancora più esplicito Marek Halter: «Anche in Siria una volta sgominate le legioni dell’estremismo islamico, potremo sostenere una vera opposizion­e al regime di Damasco. Ma un’opposizion­e diversa da quella che ha ottenuto cinquecent­o milioni di dollari dall’amministra­zione Usa con cui ha acquistato armi per donarne la metà alle brigate di Al Qaeda. Ogni cosa a suo tempo. Credo che per una volta abbia ragione Vladimir Putin: dobbiamo negoziare con Assad».

Aleppo è vittima di missili e bombe che vengono dal cielo e dalla terra. Ma del groviglio in cui è rimasta intrappola­ta, una parte rilevante è riconducib­ile alle incertezze e ai contorcime­nti della nostra guerra allo jihadismo. O meglio: della risposta alla guerra che lo jihadismo ci ha dichiarato. Una risposta confusiona­ria al punto da non avere precedenti nella storia.

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