«Ho imparato a usare lo stereo da Ligabue»
Luciano è il fratello maggiore che lo faceva giocare a nascondino quando era un bambino. «Con lui c’era Gianni, nostro cugino, che poi è morto: gli ha dedicato Lettera a G.». Che gli insegnò a mettere i dischi nel vecchio stereo. «Ascoltavamo i Genesis e gli Yes». Che lo portò a registrare uno spot nella radio libera dove lavorava. «Avevo cinque anni ed ero emozionatissimo, con la cuffia e il microfono». Ed è quello che gli cedette la camera da letto quando fu necessario. «Io dormivo con nonna Ermelina, lui da solo. Avevo 18 anni e dopo una vacanza a Riccione miracolosamente rimorchiai una svedese di 21 anni che un giorno mi chiamò: “Sono alla stazione di Reggio”. Mio fratello mi lasciò la stanza e andò dalla fidanzata».
Qui, però, le versioni cambiano. Perché Marco Ligabue, papà di Viola, compagno di Melania, chitarrista e cantante («Ma oggi mi sento soprattutto cantautore»), di dieci anni più giovane del più famoso Liga, viene contraddetto da mamma Rina, 78 anni portati benissimo, davanti a una collezione di tortelli fatti in casa (strepitosi!) e apparecchiati in sala. Accanto a lei c’è Lenny, il primogenito di Luciano. «No, no, io non me la ricordo così: nella stanza di tuo fratello ci andò lei e lui dormì nel divano del soggiorno». Ai tempi, Rina tolse tutte le chiavi alle porte, per controllare meglio, mentre il marito, Giovanni, accoglieva in processione gli amici per mostrare «la svedese».
La famiglia è vivace come il Lambrusco che beviamo, fatto da una cugina. La pausa pranzo dalla mamma è indispensabile prima della partenza di Marco per Suno, nel Novarese, dove canterà alla Festa dell’Uva, e poi per la Calabria, dove lo aspetta un tour di sei giorni. Cento concerti in tutta Italia nel 2015, quest’anno vorrebbe limitarsi a cinquanta. «Perché poi non hai più una vita, guarda che noi carichiamo gli strumenti, scarichiamo, vendiamo i cd, guidiamo. Eravamo in due, ora in tre».
Capisci che l’invidia è una sconosciuta nel confronto con gli stadi riempiti dal fratello. «Vuoi scherzare? Pensa a dover vincere la diffidenza nelle piazze di quelli che dicono: “Vabbe’, è arrivato il fratello di…”, e poi vederli cantare con te e ballare dopo il primo quarto d’ora. E poi è bellissimo stare con la gente, cenare con il sindaco o con l’assessore. Luciano è denso, introverso, a me basta una festa e una birra e sono contento così».
Rina annuisce, perché li conosce bene i suoi due figli. «Seri e scrupolosi sul lavoro. Poi, certo, Marco è più deciso, come il papà; Luciano deve sempre pensarci un bel po’ prima di fare una cosa». Conosce a memoria le canzoni di entrambi. «Ai concerti mi basta sentire il primo accordo. Peccato che a casa non posso ascoltarle come vorrei per non disturbare i vicini: mica si può sentire Balliamo sul mondo a volume basso». Marco ride:
Il dono Quando ero piccolo giocavamo a nascondino Mi donò la prima chitarra, lui teneva la contabilità in una ditta di attrezzi agricoli