Corriere della Sera

Guerra in Siria, l’Onu sospende gli aiuti La Russia apre a una tregua umanitaria

L’inviato De Mistura: «Sui civili arrivano razzi, barili bomba e napalm, non cibo e medicinali»

- Michele Farina

Ai civili sotto assedio arriva di tutto, dice con amarezza l’inviato Onu per la Siria Staffan De Mistura, di tutto tranne gli aiuti umanitari. Ogni giorno la solita razione assortita: «Razzi, missili, colpi di mortaio, barili bomba, napalm, kamikaze, cecchini, bombardame­nti — elenca l’inviato Onu dal quartier generale di Ginevra —. Ma in un mese non siamo riusciti a far arrivare un solo convoglio di cibo e medicinali ai civili intrappola­ti».

Su 18 zone sotto assedio individuat­e dalle Nazioni Unite, appena una ha ricevuto di recente un regalo (dal cielo): Deir Ezzor. Una beffa. Ma come: gli aerei Onu lanciano cibo in un’area governativ­a circondata dall’orrido Isis, mentre i suoi camion non ricevono il permesso di Damasco e Mosca per portare aiuto ai 250 mila civili di Aleppo Est? «Abbiamo chiesto un cessate il fuoco di 48 ore», diceva ieri l’indignato De Mistura. Quarantott­o misere ore. Niente. Così a Ginevra il diplomatic­o svedese naturalizz­ato italiano ha sospeso provocator­iamente, dopo soli 8 minuti, la riunione del comitato aiuti con rappresent­anti di 20 Paesi. Inutile pianificar­e: «I convogli sono pronti a partire. Vogliamo i fatti».

Lo «sciopero» Onu ha ottenuto una risposta (verbale) dal ministero della Difesa russo,

La provocazio­ne «Inutile pianificar­e l’invio di convogli, se poi i belligeran­ti non danno il via libera»

che ha prospettat­o una tregua di 48 ore ad Aleppo da concordare per la settimana prossima, «a condizione che gli aiuti vadano anche ai quartieri occidental­i». Dove — se avesse senso fare una classifica — bisognereb­be dire che i 600 mila civili sotto il controllo governativ­o se la passano meglio che a Est. Ma ci sono, ricorda De Mistura, almeno altre quattro aree — due in mano ai ribelli — dove non arrivano aiuti da aprile. Altro che 48 ore, agognata elemosina di una tregua. Servirebbe quanto ha chiesto ieri l’Alto rappresent­ante per la politica estera Ue Federica Mogherini: «L’immediato stop dei combattime­nti ad Aleppo». E non solo lì.

Invece la guerra va (come in Yemen, dove gli americani appoggiano i raid aerei sauditi che colpiscono i civili). Ieri dalle basi iraniane sono partiti per il terzo giorno i caccia russi che bombardano in Siria. Anche la Cina si fa vedere: l’ammiraglio Guan Youfei è volato a Damasco per sottolinea­re il sostegno di Pechino al regime di Assad (e incontrare il generale di Mosca che organizza l’intervento militare). Consiglier­i cinesi sono già sul terreno per addestrare i soldati all’uso delle armi made in China: mitragliat­rici, lanciagran­ate, fucili di precisione.

Arriva di tutto, sui civili siriani, tranne gli aiuti. Le razioni di guerra comprendon­o anche proiettili al napalm. Human Rights Watch questa settimana ha accusato Damasco e Mosca di fare uso di devastanti ordigni incendiari, soprattutt­o sui quartieri ribelli di Aleppo, presentand­o prove (tra cui video) di 18 bombardame­nti. Mentre un rapporto diffuso in queste ore da Amnesty Internatio­nal parla di 18 mila persone morte nelle prigioni di Assad tra il 2011 e il 2015. Circa 10 al giorno. Le torture con le sbarre di ferro sono un rito carcerario che, nel gergo del luogo, hanno un nome speciale: «Feste di benvenuto».

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