Ferretti, il biomeccanico che lo segue: «La sua forza è la leggerezza che gli permette di “surfare” sulla cresta dell’onda come un velocista»
Lo stile libero e vincente di Gregorio Paltrinieri si fonda sull’abbattimento dei canoni, sull’errore trasformato in virtù, sulla negazione della media (mediocre) a favore dell’eccentricità, sull’allenamento vissuto come una maieutica che porta fuori, e esalta, le doti innate. Troppa filosofia per una semplice faccenda di nuoto? Non si direbbe ascoltando Ivo Ferretti, il biomeccanico che con il suo lavoro parallelo a quello del tecnico Stefano Morini, ha contributo a plasmare il ragazzo.
Ferretti, laureato in chimica, è stato il tecnico di Stefano Battistelli — argento mondiale nei 1500 nell’86 e bronzo olimpico nell’88 (400 misti) e nel 92 (200 dorso) — e oggi si definisce «un meccanico che mette a punto i motori degli atleti». Due volte la settimana al Centro federale di Ostia lavora con i nuotatori del gruppo Morini: esercizi specifici, tesi a volte ad «amplificare l’errore» per attivarne la percezione neuromuscolare e indurre la correzione. È qui che si coglie la differenza di Paltrinieri. Racconta Ferretti: «Sento spesso dire che nuota male e che se battesse di più le gambe andrebbe più forte. Sono stupidaggini. Gregorio semplicemente non può farlo, perché non le coordina». Morini e Ferretti, anziché insistere per correggere il punto debole, hanno sfruttato quello forte: la leggerezza: «La chiave è stata aumentare la frequenza della bracciata mantenendone l’ampiezza». E poi aumentandola: «Rispetto al 2014 Greg ha migliorato l’ampiezza di 2 centimetri per ogni ciclo di bracciata». La mano insomma «prende» l’acqua 2 cm più in là. Se vi pare poco, seguite il ragionamento: «Passare da 2.18 m per ciclo di bracciata a 2.20 m in un 1500 significa guadagnare 11 metri e 40». Un guadagno che non sarebbe arrivato obbligandolo a dare di gambe come un forsennato senza costrutto.
L’idea del difetto magnificato e poi annullato fino a trasformarsi in virtù conduce a un’immagine affascinante: il campione sulla cresta dell’onda. «La leggerezza di Gregorio è tale che gli permette di stare sopra l’onda come i velocisti». La sua catena cinetica è «hip driven», cioè parte dalle anche anziché dalla mano («hand driven») o dalle spalle («shoulder driven»). «Lui possiede un galleggiamento dinamico inusuale e grazie al suo 1.91 non finisce mai dentro l’onda che produce: in sostanza è come se surfasse, in semiplanata, letteralmente sulla cresta dell’onda». Questo limita anche gli effetti negativi della sua asimmetria: «Gregorio ha cominciato a nuotare prima nel mare con il papà, questo gli ha dato naturalezza di nuotata e capacità di adattamento che fa la differenza».
Qui si arriva al cuore della teoria, che potrebbe diventare un principio educativo fondamentale nella formazione dei giovani atleti in tutti gli sport: «Quella che i libri definiscono anomalia con Gregorio diventa un vantaggio e la statistica perde», spiega Ferretti. Oltre il canone, insomma, c’è la specificità. Oltre i protocolli, c’è la necessità di aderire alle caratteristiche dell’individuo. Non esiste un Giusto, ma solo un Giusto per se stessi. «Quando ho visto la prima volta Greg da bambino, nuotava con la clava, di puro istinto. Ma ho capito che era interessante». Ed è davvero una fortuna, per un atleta, trovare qualcuno che decide di fare di te un campione accettandoti per quello che sei. Anche con una bracciata sghemba.
Il surf