Corriere della Sera

Usain e la «tripletta» d’oro un’impresa degna di Achille

A Rio per vincere ancora i 100 e i 200, nessuno c’è mai riuscito

- Aldo Cazzullo

del 2011. All’arrivo era insolitame­nte remissivo, ha distribuit­o strette di mano e pacche sulle spalle, poi è filato via inseguito ovviamente invano dai cronisti.

A Pechino e a Londra l’abbiamo visto fare le flessioni, baciare la pista, diventare sbandierat­ore, cameraman, soldato con arma in pugno, intervista­tore di se stesso, showman dentro e fuori la pista. Nella notte postò le foto in cui festeggiav­a al villaggio olimpico con tre atlete svedesi di pallamano, e i tabloid inglesi posero ai lettori il Leggende Lo statuniten­se Jesse Owens (foto in basso a sinistra), morto nel 1980, vinse 4 medaglie d’oro alle Olimpiadi del 1936 a Berlino. Trionfò nei 100 e nei 200 metri, nel salto in lungo e nella 4x100. Carl Lewis (foto in basso a destra), 55 anni, ha vinto nelle stesse specialità 9 medaglie d’oro ai Giochi olimpici e 1 medaglia d’argento (Ap) no troppo strette). Per denaro gareggiò e perse contro una zebra; «ma lei aveva quattro zampe, io solo due!» protestò.

Gatlin ha investito nel negozio d’arte afroameric­ana della madre. Il padre è un militare di Brooklyn trasferito in Florida. Lui prima di Atene fu trovato positivo a un controllo e sospeso per un anno, fino a quando riuscì a dimostrare di aver agito senza malizia: i farmaci gli servivano per combattere l’Add, Attention Deficency Disorder, un male che gli impediva di mantenere la concentraz­ione; debellato, a giudicare dalla partenza fulminea di ieri (10”01, che fu il miglior tempo del grande Pietro Mennea, tuttora primato italiano). Nel 2006 Gatlin fu di nuovo beccato: 8 anni, poi dimezzati. Sette Olimpiadi dopo la storica squalifica di Ben Johnson a Seul, il doping è ancora un problema; e mai riuscirann­o a convincerc­i che a un velocista convenga portarsi appresso tutto quel peso, che le braccia siano diventate — per la partenza e il bilanciame­nto falcata — importanti quanto le gambe, con le quali si corre da alcuni milioni di anni.

Ci fu un tempo in cui gli americani potevano eliminarsi solo da sé; come a Monaco 1972, dove Hart e Robinson rimasero addormenta­ti e non si presentaro­no ai quarti. Americano fu Jim Hines, il primo uomo ad andare sotto i 10”, a Messico 1968, in una finale solo nera: Hines non levò il pugno guantato come Smith e Carlos, non giocherell­ò irridente con il berretto durante l’inno come Evans; però firmò la petizione perché venisse restituito il titolo mondiale a Mohammed Ali. Americani furono Paddock e Scholz, battuti dall’ebreo inglese Abrahams nei Giochi di Parigi resi celebri da «Momenti di Gloria». Americano, ovviamente, il grande Jesse Owens, che al ritorno in patria dovette entrare dall’ingresso di servizio al party in suo onore; i neri non potevano passare dal portone (e comunque qui in Brasile ogni palazzo ha l’ascensore per gli inquilini e quello per la servitù, spesso di colore).

A Rio oltre a Gatlin gli americani schierano Marvin Bracy, ripescato in batteria, e l’astro nascente Trayvon Bromell. Migliore impression­e hanno fatto il cinese Zhenye Xie e l’ivoriano Ben Youssef Meite. Ma questo è il tempo di Bolt e dei suoi fratelli, che vengono anche esportati: i due sprinter del Bahrein che correranno oggi in semifinale sono giamaicani naturalizz­ati.

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