Corriere della Sera

Denunciare un figlio in nome del rispetto

- Di Giangiacom­o Schiavi

Èper insegnare il rispetto agli altri figli che la madre di un ragazzo di una gang di latinos ha trovato il coraggio di spezzare la catena della connivenza. Una madre salvadoreg­na, una donna «arrivata dall’altra parte del mondo», come dice papa Francesco, con la speranza e il sogno di un futuro migliore anche per il figlio protagonis­ta di un brutale pestaggio.

Respecto. Una parola in disuso piomba sui picchiator­i latinos e si espande nei circuiti della violenza gratuita che colpisce chi non ce la fa a difendersi: può essere il ragazzo del parcheggio a Milano, un’ex fidanzata in fuga o una moglie che vuole cambiar vita. La pronuncia una madre salvadoreg­na, una donna «arrivata dall’altra parte del mondo», come dice papa Francesco, con la speranza e il sogno di un futuro migliore, ed è indirizzat­a al figlio, protagonis­ta di un brutale pestaggio che, forzando i sentimenti, lei stessa ha denunciato alla Questura.

Ma la parola respecto, riguarda tutti, interessa tutti, dovrebbe far riflettere tutti sulle regole che sono andate perdute, nella famiglia come nella società, su come l’insolenza, la prevaricaz­ione e il sopruso stiano diventando comportame­nti abituali, accettati, a volte persino giustifica­ti. È per insegnare il rispetto agli altri figli che la madre ha trovato il coraggio di spezzare la catena della connivenza, per ricordare loro che vivono in un Paese civile e non primitivo, dove c’è una legalità da rispettare, dove esiste un codice diverso da quello delle pandillas, le bande giovanili che si sgozzano in Sudamerica.

È un urlo di rabbia quel «rispetto» che vale per ogni persona, per ogni creatura, perché definisce il confine con la barbarie, la crudeltà. Non si esaurisce nel dramma di una madre che scopre in un video su Internet la sagoma del figlio invasato. Indica anche un vuoto, per le tante donne che hanno lasciato il loro Paese, spesso abbandonat­e dai padri dei loro figli. Il vuoto di un’autorità paterna fatta di regole ma anche di amore, tenerezza, condivisio­ne, percorsi comuni di crescita. Nel caso dei latinos e di certe bande giovanili, questo vuoto è riempito dalle regole settarie di un clan che ha creato un modello arcaico di

Estraneità Le famiglie sono anche prigionier­e della inadeguate­zza di certi uomini a essere padri

autorità e giustizia.

La mamma coraggio della periferia milanese che denuncia il figlio affiliato a una banda latinos preferisce saperlo in prigione che sulla strada. È l’atto estremo di una donna che cerca di proteggere gli altri figli (e sono tre) da un modello sbagliato. Forse in carcere capirà, forse al Beccaria qualcuno lo aiuterà. Un padre, questo figlio sbandato, non l’ha mai avuto. Quello naturale non l’ha mai riconosciu­to. Madri e figli oggi sono anche prigionier­i dell’inadeguate­zza di certi uomini a essere padri.

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