L’ILLUSIONE DI UN PONTE PER ALEPPO
ALEPPO
Frank-Walter Steinmeier, ministro degli Esteri della Repubblica Federale tedesca, propone l’organizzazione di un ponte aereo per rifornire Aleppo di viveri e medicinali; e aggiunge di avere chiesto alle parti combattenti di proteggere la popolazione civile. Altri hanno suggerito la creazione di zone cuscinetto dove i civili in fuga possano trovare alloggio e sicurezza. Altri ancora vorrebbero un maggiore impegno dell’Onu, anche se già esiste un incaricato del Segretario generale, Staffan De Mistura, che si sta adoperando per rilanciare gli incontri di Ginevra ed è pronto a mobilitare i servizi umanitari di cui dispone. Sono proposte generose, ma sono anche, purtroppo, le abituali dichiarazioni di uomini pubblici che in circostanze così drammatiche non possono tacere o dichiarare la propria impotenza. Il lettore tuttavia deve sapere perché queste buone idee, nel caso della vicenda siriana, siano difficilmente realizzabili.
Quando parla di ponte aereo, Steinmeier pensa probabilmente a quello che fu organizzato a Berlino dal marzo 1948 al maggio 1949, quando l’Unione Sovietica decise di bloccare le comunicazioni della città con il resto della Germania: nei principali aeroporti di Berlino, per quattordici mesi, un aereo alleato atterrò ogni tre minuti con cibo, medicine e altri beni di prima necessità per impedire che i berlinesi morissero di fame. Ma il ministro tedesco dimentica forse che quella operazione fu possibile perché i sovietici decisero di non ostacolarla militarmente.
Le contraeree sovietiche avrebbero potuto abbattere gli aerei, ma Mosca sapeva che una tale reazione avrebbe provocato una guerra mondiale. Siamo certi che tutte le parti combattenti in Siria siano disposte a dare prova di una tale ragionevolezza? Le formazioni che si combattono sul terreno si strapperebbero di mano gli aiuti destinati alle popolazioni e non esiterebbero a colpire gli aerei se ne avessero la possibilità.
Le stesse perplessità valgono per le zone cuscinetto. È possibile presidiarle e proteggerle? In linea di principio questo sarebbe il compito dei Caschi blu. Ma all’Onu e ai suoi membri non piace mandare truppe là dove nessuno saprebbe chi sia amico o nemico. Ciò che rende il nodo siriano particolarmente imbrogliato è la mancanza di una netta distinzione fra parti contrapposte. In Siria esistono alleanze di comodo, utili per una particolare operazione. Ma prima o dopo gli alleati scoprono di avere nemici diversi e di non avere più interesse a combattere insieme.
La sola eccezione è quella della coppia russo-siriana. Bashar Al Assad vuole sopravvivere e salvaguardare, per quanto possibile, l’integrità dello Stato siriano. Vladimir Putin vuole un amico a Damasco, possibilmente Assad, ma anche un altro, se indispensabile, purché gli garantisca il possesso di due basi mediterranee (Tartus e Latakia). Quando due Paesi hanno interessi convergenti è più facile avere una stessa strategia. In questo momento, salvo improvvisi
Alleanza Salvo improvvisi rovesci, la strategia russo-siriana sembra dare risultati desiderati
rovesci dei prossimi giorni, la strategia russo-siriana sembra dare i risultati desiderati. Gli interventi umanitari sono possibili quando tutte le parti combattenti, anche se per ragioni diverse, hanno interesse a pigliare fiato per qualche giorno. Ma quando, a torto o a ragione, gli attaccanti ritengono di essere in vista della vittoria, come in questo caso, sperare che interrompano le operazioni è probabilmente illusorio. Assad e Putin sono autoritari e spregiudicati, ma anche molti generali democratici, durante la Seconda guerra mondiale, non si sono comportati diversamente.