I bambini e il delfino riconsegnato al mare
A febbraio uno morì tra i selfie dei bagnanti La spinta per salvarlo ieri in Indonesia
Si era arenato su una spiaggia in Indonesia. Un gruppo di bambini si è avvicinato e ha cercato di aiutare il delfino in difficoltà a tornare in acqua. Qualche mese fa stessa scena in Argentina. Ma quella volta i bagnanti, guidati dagli adulti, si erano accalcati attorno al delfino per un esotico selfie.
Gli adulti che pensano di avere poco (o nulla) da imparare dai bambini farebbero bene a guardare le due foto che illustrano questo articolo: perché l’immagine a sinistra, diffusa ieri dalla Reuters, ci fa vedere un piccolo gruppo di bambini che cerca di salvare un delfino finito su una spiaggia indonesiana, a Cilacap. Quella a destra è del febbraio scorso: un altro piccolo delfino, ma questa volta esibito come un triste pupazzo e passato di mano in mano su una spiaggia argentina a Santa Teresita, oggetto di selfie lasciato poi a morire di disidratazione sulla sabbia.
La differenza, evidente, è che nella foto argentina sono gli adulti a mettere in posa il piccolo delfino francescano (specie in via di estinzione), e in un’altra immagine diffusa quel giorno era un adulto a fotografarlo, ormai morto, col telefono. Nella foto di ieri invece ci sono solo bambini, che con le manine cercano di farlo rotolare verso l’acqua. Da una parte tanti smartphone, una spiaggia turistica e nessuna umanità e dall’altra nessuno smartphone, una spiaggia grigia poco attraente, ma tanta attenzione a una creatura sofferente.
I neurologi ci spiegano che gli smartphone — sempre pronti a essere consultati, con quelle icone colorate che provocano sul nostro sistema nervoso centrale lo stesso effetto che ci fanno i regali appena prima di essere aperti — hanno cambiato il cervello di tutti noi utenti, non soltanto le nostre abitudini. È meraviglioso avere lo scibile umano a portata di clic, poter guardare negli occhi i nostri cari lontani attraverso una videotelefonata, e la democrazia globale è più salda ora che chiunque può documentare un abuso subito dalla polizia, una manifestazione per la libertà. Ma la neuroplasticità — l’abilità del cervello, stimolato, di ristrutturarsi — ci ha portati a uno stato di «allerta» continuo un tempo riservato solo ai controllori di volo. Ci volevano dei bambini su una spiaggia lontana per ricordarci che noi — nonostante le lusinghe di tutta quella tecnologia portatile — non siamo il centro di tutto. E che se vediamo qualcosa di insolito la prima cosa che dovremmo pensare non è «faccio una foto da postare online?» ma «come posso aiutare?». È una lezione importante, della quale dovremmo essere grati.