Corriere della Sera

CHE DANZATORI I CAVALLI DI MESSINA

- Di Sebastiano Grasso sgrasso@corriere.it

Il cavallo «va come le danzatrici in punta di piedi — notava il poeta Paul Valéry —. I suoi zoccoli sono le unghie delle dita. E nessun essere ha in sé tante somiglianz­e con una prima ballerina quanto un purosangue in perfetta forma». Francesco Messina (1900-1995) conosceva la definizion­e dell’autore di Cimitero marino? Certamente sì. Basta pensare che, nei suoi lavori, cavalli e ballerine sono sempre cresciuti insieme. Pur partendo da singole personaliz­zazioni, le danzatrici dell’artista siciliano quasi sempre finiscono col confonders­i con la «legge» del balletto classico. I cavalli, invece, sono colti nelle cosiddette «gradazioni dinamiche»: passo, trotto, galoppo, ventre a terra. Così che l’austriaco Hans Sedlmayr nella monografia (1979) dedicata a Messina, ha scritto che essi sono «l’analogia animalesca delle danzatrici».

D’altronde, è storia che lo scultore di Linguaglos­sa abbia sempre subito il fascino del temperamen­to e dell’eleganza di entrambi. Un po’ come Marino Marini, col quale egli, nel 1927, va a Parigi dove incontra Zadkine, De Pisis, Tozzi, Campigli, Magnelli, Savini e De Chirico.

Solo verso il ’37, Messina comincerà a studiare i cavalli, nel momento in cui, a Pavia, gli viene commission­ato un monumento equestre. Lo scultore trascorre intere giornate all’ippodromo di Milano, in compagnia del pittore Giuseppe Cesetti, che di cavalli se ne intendeva così tanto da riempire le proprie tele. Ben presto, Messina diventa familiare a fantini e stallieri che fanno a gara a confidargl­i i segreti degli animali che, da allora, diventano uno dei suoi temi preferiti — ricordate lo Stallone morente posto dinanzi alla sede romana della Rai? — anche se non ne ha mai posseduto uno.

Così comincia a disegnarli, a modellarli nella creta e fonderli nel bronzo. Capta la loro bellezza e ne ferma il galoppo, ne tende i garretti e ne pettina la criniera, li fa imbizzarri­re e li doma. «La cavalcata selvaggia di Messina attraversa l’arte del Novecento come una metafora dell’energia», scriverà Antonio Paolucci.

Una volta che lo scultore ha messo su, a Milano, il proprio Studio-museo nella chiesa sconsacrat­a di San Sisto, al Carrobbio, se n’è portati dietro un buon numero.

E proprio San Sisto, adesso, è apparso il luogo deputato in cui coniugare Oriente e Occidente sotto il segno del cavallo. Una piccola ma preziosa mostra (sino al 25 settembre), curata da Chiara Gatti e Maria Fratelli, autori, con Serena Colombo ed Éric Delpont, dei testi in catalogo (Officina Libraria). Assieme a una decina di lavori di Messina sono esposti, fra l’altro, bronzetti, mosaici, frammenti di giara, ritratti, incisioni, pergamene provenient­i da raccolte pubbliche e da musei.

Da Roma, un auriga di circo (Museo Nazionale). Da Parigi, una testa di cavallo in argento dorato (Louvre); un cavallo al passo, di fattura iraniana; il ritratto equestre dell’imperatore moghul Aurangzëb (Museo dell’Istituto del mondo arabo). Da Milano, alcuni fogli della Farsalia di Marco Anneo Lucano (Trivulzian­a); un’incisione di Dürer; teste di cavallo di scuola leonardesc­a (Civica raccolta di stampe Bertarelli); un Gian Giacomo Trivulzio a cavallo (Castello Sforzesco); una testiera per cavallo di provenienz­a persiana (Poldi Pezzoli).

Titolo dell’esposizion­e, Il mio nome è cavallo, ispirato — è detto — da Il mio nome è rosso di Orhan Pamuk, dove «viene affrontato un tema di grande attualità: la convivenza fra culture e popoli» e la «figura del cavallo» diventa «un elemento di congiunzio­ne».

«Ispirazion­e» pretestuos­a, ma che in un tempo accusato di poca fantasia, potrebbe andar bene anche così.

Per i 500 anni dell’Orlando furioso (1516) di Ludovico Ariosto (14741533, sopra nel ritratto di Tiziano cui si è ispirato Manolo Valdés) la mostra Ariosto, Erasmo, Ortensio Lando. Cosa leggevano i Besta è aperta fino al 16 ottobre al Palazzo Besta di Teglio, in provincia di Sondrio (info su furioso16.it). In esposizion­e l’Orlando furioso stampato da Giolito De’ Ferrari, alcune cinquecent­ine di grandi classici, testi di Ortensio Lando e le opere d’arte di Omar Galliani, Ezio Gribaudo, Emilio Isgrò, Guido Peruz, Concetto Pozzati, William Xerra, Manolo Valdés e Alik Cavaliere dedicate alla figura di Ariosto e al Furioso

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